Schede grafiche NVIDIA depotenziate per il “cryptomining”

Il 2021 verrà ricordato come un “annus horribilis” per le schede video di alta gamma: sono praticamente introvabili e il loro prezzo è salito alle stelle anche a causa dell’ormai cronico fenomeno del “bagarinaggio”, lo stesso che ha causato identici problemi alle console next-gen.

Ma la speculazione dei venditori è solo l’ultimo dei problemi che ha sconvolto il mercato delle GPU: gli altri due sono la crisi dei chip e l’accaparramento delle schede video da parte dei minatori di cripto valuta.

La crisi dei chip è la base di tutti i problemi e non riguarda solo le GPU, ma anche le CPU e i SoC per smartphone e tablet

Causata, seppur indirettamente, dalla pandemia di Covid-19 che ha reso farraginosa la catena logistica dei produttori di hardware e ha fatto schizzare in alto la domanda di processori da parte di centinaia di milioni di persone rimaste a casa, la crisi dei chip non è ancora del tutto risolta.

Di CPU, GPU e SoC sul mercato ce ne sono ancora pochi, mentre la domanda, almeno per ora, non accenna a scendere. In questo contesto si sono inseriti i “crytpominer“, cioè i minatori di cripto valute. In particolare, i minatori di Ethereum, una criptovaluta che a maggio 2020 valeva circa 200 euro e l’11 maggio 2021 ha toccato i 3.441 euro, per poi assestarsi nei mesi successivi ad un valore di circa 1.600 euro.

Mentre il valore di Ethereum saliva in modo esponenziale i minatori tentavano di accaparrarsi quante più schede video possibili, sapendo che con l’Ethereum a oltre tremila euro l’investimento si sarebbe ripagato da solo in breve tempo.

Tutto questo ha portato NVIDIA a prendere una decisione drastica: “tarpare le ali” alle sue GPU, limitando la loro potenza di calcolo con gli algoritmi di estrazione di monete virtuali.

GPU cryptomining: cos’è e come funziona

Come tutte le cripto valute anche Ethereum è una moneta virtuale, che non viene “stampata” da una banca centrale ma viene generata e scambiata eseguendo complicati calcoli su una blockchain, una sorta di registro decentralizzato di tutte le transazioni della valuta circolante.

Già da diversi anni si è scoperto che le GPU delle schede video sono molto più efficienti delle CPU generaliste nell’eseguire questi calcoli. Le schede grafiche moderne, infatti, sono molto potenti e anche facilmente programmabili per eseguire altri compiti, come le simulazioni meteo, l’esecuzione degli algoritmi di deep learning, il sequenziamento del genoma e, perché no, anche il mining.

Ciò ha portato i “minatori” a comprare grandi quantità di schede video di alta gamma, rendendole ben presto un bene scarso sul mercato. Il risultato era prevedibile: i gamer sono rimasti all’asciutto.

La situazione non è migliorata nel 2021 ma, anzi, è peggiorata con la presentazione dell’ultima generazione di schede grafiche NVIDIA, particolarmente potenti anche nell’esecuzione dei calcoli per il mining.

Schede come le GeForce RTX 3060 Ti, GeForce RTX 3070 e GeForce RTX 3080 delle quali i miner sono andati subito a caccia facendole sparire dagli store online.

La mossa di NVIDIA: le schede LHR

gpu nvidia lhr

GeForce products are made for gamers“, i prodotti GeForce sono destinati ai videogiocatori. Con queste parole NVIDIA ha annunciato, il 18 maggio 2021, l’arrivo delle nuove schede della serie RTX 30 dotate di LHR, cioè “Lite Hash Rate“.

In estrema sintesi queste schede sono identiche alle precedenti, ma programmate per dimezzare le loro prestazioni nell’esecuzione dei calcoli per il mining di criptovalute.

A dire il vero NVIDIA aveva già fatto un tentativo analogo a marzo 2021 con le schede RTX 3060, ma si trattava di una strozzatura software e il produttore fece anche il grande errore di lasciarsi scappare una versione dei driver per la scheda video (la versione 470.05) che disabilitava il limitatore di potenza.

La differenza tra il primo e il secondo tentativo, però, è, almeno in teoria, sostanziale: le schede LHR dovrebbero (il condizionale è d’obbligo, perché NVIDIA è stata molto avara di dettagli nel presentarle) avere un limitatore hardware, quindi un elemento fisico presente sulla scheda stessa, e non software.

Una scheda LHR, quindi, in teoria non sarebbe “sbloccabile” da un miner usando un driver diverso rispetto a quello ufficiale ma occorrerebbe intervenire manualmente sulla scheda grafica con tutti i rischi che questo comporta.

Le schede NVIDIA CMP

nvidia cmp

Le schede video LHR non sono l’unica mossa fatta da NVIDIA per limitare il problema della carenza di GPU sul mercato: la casa di Santa Clara ha anche immesso sul mercato la linea di schede grafiche “CMP“, cioè Cryptocurrency Mining Processor.

Delle schede, cioè, prodotte esplicitamente ed specificatamente per essere destinate al mining di cripto valute. Queste schede, ad esempio, non hanno uscita video: non è possibile agganciarci un monitor e, quindi, si tratta di veri e propri processori dedicati al mining.

Inoltre, queste schede hanno frequenze di clock leggermente inferiori rispetto alle loro controparti grafiche, questo per mantenere temperature di esercizio costanti e mai eccessive, salvaguardando così la scheda stessa da possibili défaillance dovute a surriscaldamento.

Una temperatura sotto controllo limita infatti i rischi del throttling, cioè del taglio della frequenza di funzionamento di una GPU quando c’è il rischio di surriscaldamento. Questa strategia si traduce in una produzione di picco di criptovalute inferiore, ma anche in una produzione media più costante.

Poiché il mining è a tutti gli effetti una attività economica, questo tipo di gestione delle frequenze si rivela vantaggioso per il miner in quanto permette una produzione di valuta assai più stabile e programmabile.

Fonte Fastweb.it

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