Sguardi invadenti guardano il monitor del nostro computer: ecco che, in pochi istanti, si cambia schermata passando da un contenuto “a rischio” a uno meno compromettente. Per anni questa operazione è stata effettuata utilizzando le cosiddette boss key, note anche come boss button, combinazioni di tasti nati quando il concetto di schede e finestre era ancora ben lontano dall’essere implementato sui sistemi operativi.
Cosa sono le boss key
Sono pochi quelli che, sul posto di lavoro, non sono stati beccati almeno una volta dal capo o dai colleghi a fare qualcosa che non dovrebbero con il computer – guardare un video su YouTube, giocare con qualche videogame, controllare il proprio profilo social. Oggi è semplice tentare di camuffare una di queste attività con una lavorativa: si chiude una finestra, si passa velocemente da un programma all’altro, le schede dei browser permettono di simulare la navigazione all’interno di un portale istituzionale anziché all’interno di un social network.
In passato tutto ciò era molto complicato, se non impossibile. Solamente pensare di poter cambiare da un programma all’altro nel giro di pochi secondi era pura utopia. Non è un caso che le boss key nascono proprio nei primi anni ’80: i più geek inseriscono all’interno di alcuni programmi una combinazione di tasti che fa comparire una schermata lavorativa al posto di quella incriminata. Il nome scelto è tutt’altro che casuale: la traduzione in italiano di boss key è, a grandi linee, “la combinazione del capo”. Evocativo.
La storia delle boss key
Uno dei primi casi conosciuti di “combinazioni del capo” risale al 1982. Gli sviluppatori di Friendlyware, una suite di programmi di lavoro e intrattenimento (videogiochi compresi) per PC IBM, includono nel codice del software una combinazione da tastiera che permette di cambiare schermata nel giro di pochi secondi: dal gioco si passa ad un foglio di calcolo e il “pericolo-capo” è scampato.
Dall’altra parte, su Apple, l’idea invece risalirebbe a Roger Wagner. È stato lo sviluppatore a rivendicarne la paternità, con questa tipologia di funzione all’interno del gioco sparatutto spaziale Bezare. Il 1982 è stato l’anno della comparsa su Apple II: basta premere la combinazione Ctrl+W per passare a un finto foglio di calcolo a coprire il “misfatto”; attenzione però, un’ulteriore pressione dei medesimi tasti era sufficiente per ritornare al gioco.
È nel 1984 che il termine “boss key” entra nel vocabolariodegli utenti, con la presenza in alcuni testi di settore, come il manuale del game Spitfire Ace.
La fama delle boss key cresce di pari passo con la maggior diffusione di videogame e conosce il suo culmine con l’avvento del Tetris. Il puzzle digitale ha una diffusione virale, tanto tanto da “costringere” alcuni sviluppatori a inserire nella loro versione una combinazione di tasti che permette di visualizzare un foglio di lavoro anziché il quadro di Tetris in corso.
Anche il suo clone Blox introduce la funzionalità, con un foglio di calcolo con il quale l’utilizzatore può interagire, scrivendo in esso o modificando i dati presenti; tra i più evoluti c’è quello di Star Wars, del 1990: la scelta è tra un foglio di calcolo interattivo, il menu dei crediti e il logo in 3D della casa produttrice del software da spostare sullo schermo. La parabola delle boss key non è molto lunga: utilissime nel corso dell’era DOS, l’avvento dei primi sistemi operativi moderni – e del multitasking – le priva di qualunque utilità.
Boss key, chi le usava?
È difficile valutare quanti, ai tempi, utilizzassero tale sotterfugio per celare le proprie scorribande via computer durante le ore di lavoro (e non solo) o dalla vista di mogli e mariti. Già nel 1987, secondo un articolo del magazine statunitense Newsweek, il 66% degli intervistati aveva confessato di utilizzare le macchine del proprio ufficio per attività extra lavorative; un’alta percentuale, considerato che il 57% di essi era dedito all’uso di videogiochi.
Per questo gli sviluppatori di alcuni titoli iniziarono a optare per boss key riportanti messaggi che avevano l’intento di dissuadere i giocatori a trascorrere del tempo davanti ai videogame, invece che lavorando. È il caso di Space Quest III di Sierra, con un timer sul tempo trascorso nel gioco, o addirittura come Leather Goddesses of Phobos, titolo di Infocom che nella schermata di “aiuto” riportava utili consigli matrimoniali. Come dire: salvi, ma a rischio di prese in giro da parte dei colleghi.
L’evoluzione delle boss key
Nonostante ciò, molti sviluppatori continuano a inserire nel codice dei loro software delle boss key o dei boss button (traducibile con “il pulsante del capo”): è tutt’ora possibile trovarle in alcuni portali web e in alcuni software di messaggistica istantanea. Altri programmatori, invece, hanno continuato a utilizzarle anche se con finalità differenti.
In alcuni giochi per adulti, ad esempio, le combinazioni da tastiera richiamano fogli di lavoro hot, mentre altri giochi mostravano il tempo trascorso a giocare anziché lavorare. In casi come questi sarebbe stato più corretto parlare di combinazioni per il capo anziché di combinazioni del capo.
Il presente delle boss key
Oggi la possibilità di ridurre di dimensioni la finestra di un programma con un solo click del mouse ha, de facto, reso inutile sia le boss key sia il boss button. Solo in casi eccezionali – legati in gran parte al mondo del web – queste funzionalità riescono ancora a sopravvivere. Il caso più eclatante risale al 2006: la lega di basket liceale degli Stati Uniti – la celeberrima NCAA – ha inserito nel sito dello streaming live un boss button che permette di minimizzare la scheda ed evitare guai seri ai dipendenti intenti a vedere le partite di pallacanestro.
Ci sono poi programmi ed estensioni ad hoc che permettono di interagire direttamente con il browser ed evitare situazioni di pericolo. Panic button, ad esempio, è il nome di due differenti estensioni prodotte da altrettanti sviluppatori per Chrome e Firefox che mettono al riparo da occhi indiscreti la propria navigazione: basta premere F8 nel primo caso e una chiave scelta ad hoc dall’utente nel secondo per nascondere una o più schede. Tra i software più utilizzati del genere troviamo, invece, Magic Boss: anche in questo caso basterà premere uno o due tasti e le attività “illecite” scompariranno come per magia.
Nonostante abbiano perso parte dell’utilità, grazie alle evoluzioni dei software, le boss key esistono ancora. L’importante è saperle trovare (o realizzare).
E nel mondo dei videogiochi? Ci sono esempi che tutt’ora integrano questa funzionalità all’interno del proprio codice, come osu!, game musicale freeware per Windows, macOS e iOS. Si preme il tasto “0” sul tastierino numerico del proprio computer per nascondere quello che sta avvenendo sullo schermo in un baleno. Anche altri software, come il player VLC, le utilizzano ancora: in questo caso specifico, è l’utente a scegliere il “tasto del boss”.
Ovviamente, poi, resta la possibilità di creare da soli le proprie boss key, un’alternativa da non sottovalutare vista la semplicità di realizzazione. Per farlo, si può sfruttare un programma gratuito e open-source, in ambiente Windows, chiamato AutoHotKey. Attraverso poche linee di codice, si possono realizzare degli script in grado di riprodurre le funzioni di queste scorciatoie, assegnandole a un tasto specifico della tastiera.
Fonte Fastweb.it