(ANSA) – ROMA, 09 MAG – Cinque persone sono morte, inclusi
due bambini, in una serie di incendi scoppiati in Russia nella
zona di Krasnoyarsk, terza più grande città siberiana, centro
industriale e importante snodo della Ferrovia Transiberiana. Le
fiamme hanno mandato in fumo decine di edifici in diversi
villaggi. Secondo la protezione civile, il fuoco è divampato a
causa di “cortocircuiti dovuti a cavi invertiti e al crollo di
una linea elettrica provocato da forti venti fino a fino a 40
m/s”. Ma il servizio meteo internazionale Timeandate riporta
nella zona dei roghi venti dai 4 ai 13 chilometri orari che,
stando alle tabelle internazionali, indica vento meno che
moderato. Un particolare, quello della spiegazione delle
autorità russe, che addensa le nubi del sospetto sulla reale
causa degli incendi che si sono verificati nella Federazione da
aprile. Certo, la Russia è la nazione più grande del mondo con
la sua superficie di oltre 17,1 milioni di chilometri quadrati e
statisticamente non sarebbe strano se un certo numero di incendi
scoppiassero in diversi punti del Paese in un periodo abbastanza
limitato. Ma ciò che colpisce è la natura dei luoghi andati in
fumo: posti strategici, oltre che simbolici. Siti che inducono a
immaginare che si tratti più di obiettivi che di casualità.
Inoltre, provocare un incendio a distanza con i sistemi
antincendio collegati a un computer per un hacker è un gioco da
ragazzi, dicono gli esperti: un pirata della rete ci mette poco
a introdursi nel sistema web e a scatenare un corto circuito.
Per esempio nel sistema di riscaldamento, semplicemente alzando
oltre i livelli di guardia la temperatura delle caldaie. E del
resto anche fonti vicine al Cremlino nei giorni scorsi non hanno
escluso questa ipotesi. Ovviamente nessuno si è spinto a
dichiarare apertamente che gli incendi potrebbero esser
riconducibili alla cyberguerra di Kiev, ma non è sfuggito agli
osservatori che ad ogni rogo le immagini siano state mostrate
innumerevoli volte dai canali social ucraini. Le tappe del fuoco
sono partite il 21 aprile da Tver, 150 chilometri a nord-ovest
di Mosca, le fiamme si sono sviluppate nell’Istituto centrale di
ricerca delle forze di difesa aerospaziali della città,
considerata la Cape Canaveral russa, che si occupa anche dei
sistemi di lancio e difesa missilistica. Altro rogo di ampie
dimensioni nel più grande impianto chimico di solventi russo
nella città di Kineshma, 400 kilometri dalla capitale. Il primo
maggio nuovo incendio nello stabilimento di Perm, negli Urali
centrali, dove si produce la polvere da sparo per armamenti
compresi i sistemi lanciamissili Grad e Smerch. Il 3 maggio è
stato avvolto dalle fiamme un magazzino di 33.800 metri quadrati
che, secondo il media di opposizione bielorusso Nexta, sarebbe
un deposito della casa editrice pro-Cremlino Prosveshchenie. Tre
giorni fa è stata la volta della zona industriale di Nizhni
Novgorod, a est della capitale russa, dove sono bruciati 2 mila
metri quadrati di un deposito di solventi. Per ora tutto resta
nel campo delle ipotesi. Ma è difficile che davanti agli occhi
non passi quell’immagine del giovane al buio con il cappuccio
della felpa in testa davanti allo schermo di un computer acceso.
(ANSA).
Fonte Ansa.it