Mafia: ‘pizzo’ a imprenditore,arrestata famiglia ergastolano

(ANSA) – CATANIA, 23 MAG – Moglie e due figli di un esponente
del clan Santapaola-Ercolano che sta scontando un ergastolo per
omicidio sono stati arrestati da carabinieri di Catania per
estorsione aggravata dal metodo mafioso. Nei loro confronti è
stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere
emessa dal gip su richiesta della Dda etnea. Al centro
dell’inchiesta il presunto ‘taglieggiamento’ a un imprenditore
del settore dell’estrazione e della lavorazione di pietra lavica
che avrebbe pagato il ‘pizzo’ dal 2012, versando
complessivamente 1,7 milioni di euro tra contanti, assegni,
cambiali e mezzi d’opera.
    Secondo l’accusa, a dare disposizioni alla sua famiglia dal
carcere sarebbe stato Giovanni Rapisarda, 64 anni, ergastolano,
detenuto per l’omicidio di un noto imprenditore catanese
commesso nel 1993, e destinatario della stessa ordinanza
cautelare emessa per la moglie e i due figli che, ipotizza la
Dda di Catania, erano gli esecutori dei suoi ordini. In carcere
sono stati condotti Santa Carmela Corso, di 61 anni, e Giuseppe
Rapisarda, di 34, arrestati in flagranza dai carabinieri dopo
che avevano ritirato una ‘tangente’ da 2.000 euro dalla vittima
dell’estorsione, e Valerio Rapisarda, di 30 anni.
    Le indagini erano state avviate dopo che militari dell’Arma
della compagnia di Paternò avevano notato diverse e frequenti
visite dei due fratelli Rapisarda nella sede di una ditta di
Belpasso dove sono state installate delle telecamere nascoste.
    “La vittima – ricostruisce la Procura di Catania – dopo
l’acquisizione di un ramo dell’azienda già di proprietà di altri
componenti della famiglia Rapisarda, pur avendo già consegnato
700.000 euro negli ultimi 10 anni per crediti illecitamente
vantati di 1.000.000 di euro, riceveva un’ulteriore richiesta
estorsiva di 700.000 euro, dilazionati in cinque anni con il
pagamento di una somma tra i 1.500 e 3.000 euro settimanali o,
in alternativa, la cessione della ditta”. In uno degli ultimi
incontri con la vittima Giuseppe Rapisarda avrebbe spiegato
all’imprenditore che doveva pagare perché la cava “era la nostra
cosa” e che erano “dodici-tredici anni e dobbiamo chiudere sta
partita” e ricordandogli che “mio padre il suo piacere è questo,
perché qui era la cosa sua”. (ANSA).
   

Fonte Ansa.it

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