Apple accelera i piani per spostare parte della sua produzione fuori dalla Cina, divenendo meno dipendente dalla cinese Foxconn e puntando su Vietnam e India come alternative. Per l’amministratore delegato Tim Cook si tratta probabilmente del test più importante della sua carriera, il dilemma che potrebbe lasciare un marchio sulla sua eredità.
In Cina è concentrata quasi il 95% della produzione di iPhone e finora il Dragone, con il suo boom manifatturiero ed economico, è stato complice del successo di Cupertino. Ora però le recenti restrizioni da Covid e le proteste – soprattutto quelle all’impianto Foxconn a Zhengzhou conosciuto come ‘iPhone City’ – agitano gli investitori. Molti si chiedono infatti quale sia il piano B di Apple che, dopo aver concentrato la produzione in Cina, si trova a dover trovare opzioni plausibili che mettano al riparo i suoi ricavi. Anche se l’iPhone cattura meno di un quinto delle vendite globali di smartphone, rappresenta una fetta ben maggiore dei ricavi di Apple.
“Nel passato non si prestava attenzione al rischio della concentrazione. Gli scambi commerciali liberi erano la norma e le cose erano molto prevedibili. Ora siamo entrati in un nuovo mondo”, afferma Alan Yeung, ex manager di Foxconn, con il Wall Street Journal. Cupertino e Pechino hanno trascorso anni a costruire la stretta relazione che le lega e che, finora, è stata reciprocamente favorevole. Un rapporto però che ora appare a rischio per vari motivi. Ci sono i giovani cinesi che non sono più disposti a lavorare a basso costo per i ‘ricchi’ e che manifestano in aperta sfida a Pechino per le restrizioni da Covid, innescando una repressione forte da parte delle autorità.
Ci sono poi anni di tensioni economiche e militari fra Stati Uniti e Cina, le due superpotenze che non vogliono soccombere una all’altra. In questo quadro Apple valuta alternative, cosciente che il nodo non è solo la produzione ma anche la risposta della società alle proteste che si susseguono e che l’hanno già esposta a critiche in casa. La decisione di Cupertino di imporre limiti all’uso dell’AirDrop in Cina – funzione usata per la condivisione di informazioni fra i manifestanti – è stata duramente criticata dal governatore della Florida Ron DeSantis, papabile candidato repubblicano al 2024. Il senatore conservatore Josh Hawley ha attaccato direttamente Cook: “sotto la sua leadership Apple ha assistito il partito comunista cinese nel sorvegliare e sopprimere i diritti umani di base del popolo cinese”.
Per Cook, così come molti altri amministratori delegati di grandi aziende, centrare un equilibrio con la Cina non è facile. Grazie alle due doti diplomatiche, Cook è riuscito in tempi stretti a smorzare la miccia accesa da Elon Musk con le sue critiche a Apple. Con Cook Cupertino ha navigato la presidenza Donald Trump e si è accreditata con l’amministrazione Biden (l’ad è stato invitato alla cena di gala della Casa Bianca per il presidente rancese Emmanuel Macron). Ma la sua arte della diplomazia sembra aver raggiunto il limite con la Cina, tanto che – riporta il Financial Times – Cook ha ignorato nei giorni scorsi chi lo pressava per sapere se, a suo avviso, i cittadini cinesi avessero il diritto di protestare.
Fonte Ansa.it