(di Giorgio Gosetti) (ANSA) – ROMA, 03 GEN – Ci sono attori che incarnano una
generazione: Robert Duvall ha scritti in faccia gli anni ’70 del
cinema americano. Ma la sua storia è molto più varia e merita di
essere riletta perché se c’è una voce fuori dal coro
nell’America di ieri e di oggi, questa è la sua. Robert Selden
Duvall nasce a San Diego il 5 gennaio 1931, figlio di un
ammiraglio e di un’attrice dilettante. Debutta a teatro nel 1952
al Gateway Playhouse di Long Island. Frequenta i corsi di
recitazione di Sanford Meisner a New York dividendo casa con
Dustin Hoffman e Gene Hackman. Nel ’53 si arruola nell’esercito
e viene spedito al fronte, in Corea. Tornato a casa, Meisner gli
affida il primo ruolo importante a teatro. Intanto ha provato
per la prima volta il brivido della cinepresa in “Lassù qualcuno
mi ama” (1956) con Paul Newman, ma dovrà aspettare sei anni
perché Hollywood si accorga di lui con la parte del malato di
mente in “Il buio oltre la siepe” a fianco di Gregory Peck.
Intanto si è fatto le ossa quasi sempre come “guest star” in tv.
E’ il cinema a farne un caratterista alla fine degli anni ’60
quando il suo destino incrocia i giovani maestri di quella
formidabile generazione: dopo “La caccia” di Arthur Penn (1966)
e “Conto alla rovescia” (1968) di Robert Altman sarà la volta di
Coppola al debutto con “Non torno a casa stasera” (1969), George
Lucas (“L’uomo che fuggì dal futuro”, 1971) fino all’inatteso
trionfo de “Il padrino” (1972) che gli vale la prima di sei
candidature all’Oscar. Vincerà invece nel 1984 con “Tender
Mercies” di Bruce Beresford.
Con Coppola tornerà ne “La conversazione” e soprattutto in “Apocalypse Now” (1979) quando Duvall indossa l’uniforme del
colonnello Kilgore. Dopo tanti riconoscimenti e l’Oscar del
1984, Robert Duvall si allontana dal cono di luce del successo,
sceglie sempre più spesso la tv, si appassiona a una nuova
carriera da produttore, si cimenta 5 volte nella regia. Nel 2021
lo vedremo sullo schermo in “12 potenti orfani” di Ty Roberts
con l’amico Martin Sheen e in “Hustle” di Jeremiah Zagar.
Arriverà un altro Oscar o almeno il 60mo premio della sua
carriera? (ANSA).
Fonte Ansa.it