Sotto diversi punti di vista, possono essere reputati come una sorta di panacea di tutti i mali. C’è chi li considera come la soluzione definitiva per mettere in sicurezza la rete dell’Internet of Things ed evitare così attacchi DDoS di grande portata. Per altri, invece, possono essere ritenuti come il futuro dell’economia e dello scambio di capitali in tutta sicurezza. Insomma, a seconda dell’applicazione e del punto di vista da cui li si “osservi” e analizzi, la blockchain e i Bitcoin sembrano poter riservare solo buone notizie per il futuro.
Eppure, non è così. Al di là del valore raggiunto dai Bitcoin e della possibilità che tutto si risolva nell’ennesima bolla finanziaria, alcuni aspetti della blockchain non fanno dormire sonni tranquilli agli esperti che, da quasi 10 anni, ne osservano l’evoluzione. La rapida crescita e l’altrettanto veloce successo, infatti, hanno fatto nascere una sorta di aura di onnipotenza attorno a questo strumento informatico. Ciò ha portato, invece, alla nascita di falsi miti su Bitcoin e blockchain che finiscono con il confondere le idee a chi ha poca dimestichezza con il settore. Solamente sfatandoli si riuscirà a fare un po’ di chiarezza ed evitare che si crei altra confusione.
La blockchain è un sistema di calcolo distribuito
Il fatto che la blockchain basi il proprio funzionamento sulla sua auto-distribuzione tra tutti i nodi della rete può portare a credere che si tratti di un sistema di calcolo distribuito altamente efficacie ed efficiente. In realtà, si tratta esattamente dell’opposto. Per ragioni di sicurezza, la blockchain viene interamente distribuita tra tutti i nodi che hanno partecipato, in un modo o nell’altro, alla sua formazione. Ciò vuol dire, però, che tutti i computer della stessa catena di blocchi replicano le stesse, medesime, operazioni. Non appena si aggiunge un nuovo blocco, tanto per fare un esempio, tutti i nodi verificano le stesse transazioni basandosi sulle stesse regole. Si capisce immediatamente che si tratta di un sistema tanto sicuro, quanto inefficiente: la stessa operazione viene ripetuta, istantaneamente, milioni o miliardi di volte, a seconda di quanti nodi compongano la chain.
La blockchain non ha fine e registra tutte le modifiche e cambiamenti
Questo mito potrebbe essere considerato vero se vivessimo in un mondo ideale nel quale non ci fosse penuria di gigabyte, terabyte e petabyte nei quali archiviare ogni cosa che ci passa sotto mano. Al crescere delle transazioni e delle loro registrazioni all’interno dei blocchi della catena, infatti, la blockchain aumenta di dimensioni in maniera esponenziale. Si prenda ad esempio quella dei Bitcoin: al crescere del loro successo (e all’aumentare degli scambi valutari), la blockchain è arrivata a superare i 200 gigabyte di grandezza (si tratta di spazio effettivamente occupato sul disco rigido dei computer che generano Bitcoin). Ciò ha fatto nascere un grande dibattito in seno alla community e alla seguente divisione in due della catena: chi ha deciso di optare per la nuova blockchain non ha conservato nulla di quanto registrato in passato.
La crescita dei Bitcoin è facilmente sostenibile dal sistema e dalla blockchain
Anche se potrebbe essere facile credere al contrario, la blockchain non è nata in funzione dei Bitcoin, ma è l’unione di vari pezzi e tecnologie informatiche già esistenti in precedenza (e messe insieme dal misterioso Satoshi Nakamoto). Così, la rete Bitcoin è in grado di processare solo 7 transazioni al secondo, successivamente registrate in blocco all’interno della blockchain ogni 10 minuti. Insomma, un sistema piuttosto lento, visto il numero di persone che utilizza la criptovaluta sia come forma di investimento sia come forma di pagamento online. Queste limitazioni impediscono alla rete Bitcoin di crescere di pari passo al suo successo e pongono un forte limite alla sua espansione.
La blockchain garantisce la sicurezza delle transazioni e operazioni che registra
La distribuzione dell’intera blockchain tra tutti i nodi della catena è, come detto, una sorta di assicurazione sulla veridicità delle varie transazioni scritte all’interno dei blocchi. Prima che un nuovo blocco possa essere inserito nella chain, infatti, è necessario che tutti gli altri lo analizzino e “certifichino” basandosi su regole e standard molto stringenti. Questo è vero, però, sino a quando la blockchain è sufficientemente “frammentata” e distribuita: nel caso in cui un solo utente (o un gruppo di essi) riuscisse a controllare il 51% della potenza di calcolo utilizzata per creare Bitcoin, potrebbe anche essere in grado di mettere a segno un majority attack e trascrivere un blocco contenente informazioni false. Insomma, la blockchain è sicura fino a quando è controllata da una moltitudine di persone.
La blockchain è decentralizzata e non ha “controllori” di sorta
Allo stesso tempo, la distribuzione “paritaria” della blockchain tra tutti gli utenti porta immediatamente a pensare a una sua gestione decentralizzata e, per alcuni versi, “democratica”. La realtà, però, è altra: è facile comprendere, però, che l’unione fa la forza e “federazioni” di più miner consentono di guadagnare di più e più in fretta rispetto a un’attività di mining condotta in solitaria. Ciò ha portato alla formazione di cartelli di miner arrivati a controllare ognuno fino al 15-16% della potenza di calcolo totale impiegata nelle attività di creazione Bitcoin. Stando ai dati più aggiornati, i quattro maggiori pool di mining controllano oltre il 50% della potenza di calcolo, mentre l’80% è nelle mani di utenti provenienti da un’unica nazione: la Cina.
La blockchain garantisce l’anonimato
Dal momento che ognuno dei partecipanti alla catena ha accesso e controllo (teorico, vista la molte imponente) a tutti i blocchi che la compongono, è del tutto errato dire che la blockchain (e, di conseguenza, in Bitcoin) garantisce il completo anonimato degli utenti. Invece, si dovrebbe parlare di pseudonimia. Ciò implica che se un utente dovesse riuscire a conoscere il nostro pseudonimo – perché, ad esempio, abbiamo scambiato valuta con lui – potrebbe (da un punto di vista teorico) riuscire a risalire a tutte le nostre transazioni e avere accesso allo stato delle nostre finanze (in criptovaluta, ovviamente). Insomma, non il massimo dell’anonimato e della privacy.
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Fonte Fastweb.it