Chat e loro usi, non solo per ragazze e ragazzi

Sull’aspetto tecnico, o l’uso “sgamato” dei mezzi, probabilmente non ci sono utenti più “smart” dei ragazzini: attentissimi a tutte le novità e tendenze, fanno spesso anche da trainer per nonni, zii e genitori. Hanno sempre un occhio su “cosa si muove nel mercato” e in molte situazioni elencano nomi di società e amministratori telco, gaming e OTT da far concorrenza a degli head-hunters.

Ma se ci è mai capitato di avere sott’occhio una chat di un teenager o post-millennial, o per le giustificate ragioni di legge sul limite minimo dei 16 anni ad esempio per Whatsapp , o anche solo per motivi fortuiti, o dietro “espressa richiesta dell’interessato”, indubbiamente qualche osservazione su come interagiscono e cosa si dicono, insomma su come comunicano, è probabile che ben più di uno di noi “grandi” l’abbia fatta!

Alessandro Biascioli / iStock by Getty Images Plus

E non perché come adulti siamo indenni da “vizi di utilizzo” ed errori comunicativi e possiamo quindi giudicare dall’alto, ma anzi proprio perché consapevoli del terreno comunicativamente “scivoloso” che in varie occasioni questi mezzi possono essere per tutti, e certo anche per i più giovani! Se cerchiamo di seguirne la formazione e la crescita per molti aspetti diversi, non possiamo allora esimerci da questo, con le sue tante implicazioni. 

Faccio anch’io parte della categoria di chi ha “visto e considerato”, ed ogni volta si è aperto un mondo di riflessioni: una chat di ragazzini è in effetti un universo meritevole di approfondimenti di ogni genere. Semiotica, linguistica, grammatica, sociologia, psicologia entrerebbero tutte a buon diritto in campo, per chiarire il senso ricostruibile dietro ad emoticon, stickers, espressioni slang, linguaggi quantomeno settoriali, apostrofi non sempre riverenti… E silenzi, esclusioni, censure, autocensure, espulsioni ed autoespulsioni che richiedono l’occhio esperto del vero educatore, di chi colga e possa aiutare a cogliere “l’essenziale che è invisibile agli occhi” per essere comprese, decodificate ed intese dentro ad un “positivo” che, da qualche parte, devono avere…

chat e domande

Alexey Yaremenko / iStock by Getty Images Plus

Insomma, uno spaccato di mondo che è lì, leggibile e “tangibile”, anche se nella finzione situazionale viene vissuto come “eco” di una comunicazione orale ed immediata, che dovrebbe perdersi nell’etere, se appena ci fosse la possibilità di parlarsi, tra tutti, di persona, cosa che nelle molte limitazioni dell’era Covid, come anche di quella precedente (e successiva), non sempre è possibile…

Ed è proprio per questo che il mezzo è stato creato, dando luogo ad un “come se”: scriviamoci come se in realtà stessimo parlando di persona, come se fossimo tutti insieme nello stesso spazio, quindi con espressioni veloci e dirette, senza grandi filtri, così, “by design”.
Ma questo “come se”, nel tempo e in contesti diversi si rivela più o meno labile, più o meno credibile. Tanto che non è infrequente leggere di casi mediatici e legali innescati proprio dalle chat.
La loro natura non è dunque così eterea e rarefatta da poter stare sul piano della conversazione orale, cosa che in effetti non è.

Occorre anche ricordare che una parola storta, se scritta può spesso ferire di più che se detta a voce in un momento e in una contingenza specifica e vissuta direttamente.

Non solo perché “verba volant”, e neppure solo perché la memoria eidetica, cioè la memoria per immagini, può essere molto potente e persistente, ma molto perché la comunicazione di una chat, pur con vocali, video, emoticon, stickers, meme ecc. avviene a distanza, entro un ambito esperienziale necessariamente più limitato anche se variegato. Mancano quindi i messaggi collaterali e compensativi che si percepiscono invece in presenza.

Oltre a ciò, bisogna chiedersi il senso e gli scopi dell’uso di alcune funzionalità tecnologiche. Consideriamo ad esempio i “messaggi effimeri”: se li intendiamo usare per condividere informazioni effettivamente “temporizzate”, magari “di servizio”, che decadrebbero comunque dopo un certo numero di giorni, e non vogliamo a lungo occupare memoria senza motivo, allora l’intento è coerente con la funzionalità. Ma se, viceversa, ci solletica l’idea di scrivere indiscriminatamente e con pochi filtri qualcosa di cui sappiamo che dopo breve periodo non resterà traccia, e intendiamo farlo proprio per questa ragione, allora

Siamo veramente sicuri che quello che scriveremo sia qualcosa che è costruttivo scrivere?

Poco o tanto, anche se un messaggio dopo poco “sparisce”, la sua traccia, come già detto, nella memoria degli amici, dei compagni la lascia, e se non è una “buona memoria”, siamo sicuri, sono sicuri i nostri ragazzi che ne valga realmente la pena?    

Occorre sempre, come in ogni altra situazione, interrogarsi, e fare in modo che anche i ragazzi lo facciano, su come usare al meglio questo tipo di messaggistica e questo genere di comunicazione, utilissimo ed insostituibile, e proprio per questo degno di tutta l’attenzione necessaria.
Forse, il punto di ispirazione potrebbe essere per tutti proprio questo: cerchiamo e mettiamo in risalto il positivo di questa “storia”, e dato che in ogni interazione, in ogni situazione ci giochiamo la nostra libertà, allora proviamo ad usarla in bene anche in questa esperienza!

ispirazione e mente

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Prescindendo naturalmente da considerazioni legate a possibili forme di cyberbullismo,  consideriamo che spesso chat allargate, con gruppi variegati e di una certa numerosità, quando i toni si fanno critici o conflittuali, possono diventare litigiose e “rissose”, con escalation progressive o anche dirompenti. Ed ecco allora esclusioni ecc.
Ma cerchiamo di andare per gradi: cosa fare, e perché? Con quali motivazioni, con quali finalità?

Può essere molto costruttivo innanzitutto parlare con i propri figli per capire se sono contenti delle loro chat e scambi comunicativi da messaggistica, chiedendogli cosa ne pensino. Ed interrogarci anche noi sulla qualità e autenticità dei nostri scambi in chat. Sono “luoghi” dove ci possiamo esprimere a nostro agio? Ci sentiamo realmente partecipi? Sono per noi una modalità di comunicazione utile? Forzata o edificante? Ci sono gruppi “migliori” di altri? Oppure al contrario più problematici o “respingenti”? E per quali motivi?

Per non soccombere né prevaricare dobbiamo sicuramente analizzare con attenzione per prima cosa il nostro modo di interagire, diventando più consapevoli delle dinamiche in gioco.

E questa analisi, anche in questa come in tutte le altre situazioni, si rivela tanto più utile quanto più siamo disposti ad essere sinceri con noi stessi. Come mi comporto nelle chat, e perchè? Come si comportano gli altri, ciascuno con le proprie ragioni?  

Si può ad esempio riflettere sul fatto che, se una chat è collettiva, se magari è una chat di classe, sarebbe costruttivo che gli argomenti fossero attinenti, e non fossero più che tanto fonte di “perdite di tempo” non giustificate.

Qualche scherzo per alleggerire un pomeriggio di inteso studio ha certo il suo perché, mentre intasare la chat di decine o centinaia di messaggi diciamo “leggeri”, tutti “a vuoto”, in genere non desta sconfinata ammirazione, né ci fa apparire “migliori” agli occhi dei nostri lettori e compagni di chat e di classe, i quali magari avrebbero reale esigenza di scambiarsi informazioni su temi scolastici, che sono in genere, ad esempio i compiti, il motivo ufficiale per cui queste chat vengono inizialmente create.

Di norma, dentro alla chat si levano presto o tardi le voci del “basta!”, anche corali a volte, da parte di chi non gradisce dover leggere 999 messaggi prima di ritrovare la risposta ad una sua domanda, o la domanda di qualcun altro che stia chiedendo informazioni utili o importanti ed in ambito.

Ecco che allora, increduli di non vedere adeguatamente apprezzate le proprie doti di comici ed intrattenitori, a volte i messaggiatori seriali più ameni avviano chat parallele ed alternative a quelle ufficiali. Dove però, ahimè, in mezzo a tanti “frizzi e lazzi”, possono trovare posto anche alcune informazioni che risulterebbero importanti per tutti, se solo venissero scambiate anche nella chat “ufficiale”.

Il gioco è fatto, le chat si moltiplicano: è chiaro infatti che le affinità tematiche, espressive ed elettive riuniranno gruppetti vari e diversi, così come avverrebbe nel corridoio durante l’intervallo a scuola.
 

ragazze e ragazzi a scuola

Stígur Már Karlsson /Heimsmyndir E+ by Getty Images

Ma a scuola, anche se in capannelli diversi, ci si arriva a vedere, magari a sorridere e parlarsi anche se si è di “fazioni” differenti, e potrebbe capitare che ci siano cambiamenti e rigiri nelle varie composizioni. Via chat invece, una volta imboccata la strada dei gruppetti ridotti, questi tendono a diventare autoreferenziali, a meno che non si sia realmente determinati a riprovare a sentirsi e riprendere i contatti anche con chi nella chat più ampia sia diventato un poco più “silente” perché ben più coinvolto in quelle ristrette ed esclusive. In generale, chi cerca l’eclusività lo fa perchè la preferisce, ma a volte potrebbe avvenire che sia così per logiche di automatismo e per come funziona “l’ingranaggio”. Quindi… potrebbe, magari, valere la pena di provare a ricercare il contatto per credere! Comunque, senz’altro per chiarirsi e farsi “presenti”.

Se, viceversa, riteniamo di essere stati noi all’origine dell’esclusione di qualcuno, chiediamocene il motivo, e proviamo ad immaginare le nostre azioni anche fuori dal “terreno” della chat. Se, ad esempio, tutto non sia iniziato per un problema momentaneo, magari poi risolto, ma a cui non abbiamo più rimediato, omettendo di appianare le cose, in chat. Chiediamoci anche se saremmo arrivati a provocare l’esclusione se non avessimo agito davanti agli occhi di un gruppo. Magari avremmo cercato di risolvere le nostre divergenze di persona, con il diretto interessato, magari avremmo potuto stabilire un dialogo, anche difficile, ma senza escludere nessuno “insindacabilmente”.

Cerchiamo soprattutto di pensare sempre se quello che stiamo per fare ci farebbe piacere che venisse fatto a noi.

E ricordiamo che pure nella realtà concreta non digitale ciascuno di noi ricerca l’affinità, ma teniamo sempre presente anche che essere drasticamente selettivi in chat genera tutt’altro che inclusione e confronto costruttivo.
Potremmo quindi provare a scrivere (i nostri ragazzi ed anche noi) ricordando sempre che quello che scriviamo parla di noi e parlerà di noi dopo che lo avremo scritto, affidando quindi anche al digitale quello che ci rispecchia davvero, e che non ci spiacerebbe che venisse ricordato di noi nel tempo.

Dovrebbe guidarci sempre l’educazione, non declinata (almeno non unicamente) in senso formale, come sequenza di passaggi di un “rituale” sociale, ma una Educazione con la “e” maiuscola, quella che ci guida, anche in mezzo a situazioni difficili, ad essere più umani, vicini e solidali.

 

 

 

 

Scritto da:

Lucia Loredana Canino
Business Analysis Professional
Alla ricerca di spunti e tracce di qualcosa di buono, e dello sguardo per poterli vedere.

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Fonte Fastweb.it

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