Come ridurre al minimo carbon footprint

Durante i mesi più duri della pandemia da Covid-19, quando centinaia di milioni di persone in tutto il mondo erano chiuse a casa per i vari lockdown nazionali, le emissioni di CO2 sono scese notevolmente.

Difficile fare un calcolo uniforme e medio per tutti i Paesi, ma una ricerca congiunta dell’Università dell’East Anglia, di quella di Stanford e del Center for International Climate research di Oslo, pubblicata su Nature Climate Change, ha stimato emissioni giornaliere minori del 17% a livello mondiale e del 27,7% in Italia, dove notoriamente il lockdown è stato quasi totale.

A determinare il calo delle emissioni è stato soprattutto il blocco dei trasporti privati: non si andava più al lavoro, non si usciva più per divertimento e stando tutti a casa milioni di automobili sono rimaste parcheggiate per settimane. Il risultato è che quasi la metà della riduzione delle emissioni di CO2 è derivato proprio dal mancato uso dell’auto privata.

Ciò lascia intendere quanto possa fare bene al clima lo smart working, ma non bisogna fare l’errore di credere che lavorare da casa o fare tutto da remoto sia la panacea di tutti i mali

Non è così: anche l’economia digitale ha un impatto sull’ambiente e sulle emissioni di CO2, che vanno calcolati e, ove possibile, ridotti al minimo per sfruttare le opportunità offerte da Internet per contrastare i cambiamenti climatici.

Anche Internet ha una carbon footprint

Come ogni attività, servizio o prodotto anche Internet ha una ricaduta negativa sul clima, cioè una impronta di carbonio che può essere misurata. Anche nel caso di Internet, però, si può misurare l’impronta di carbonio, ma non è facile.

Nel calcolo vanno inseriti due fattori principali: le emissioni derivanti dalla produzione di energia elettrica, senza la quale Internet “si spegne”, e quelle derivanti dalla produzione dei dispositivi tramite i quali usiamo Internet per lavorare o per divertirci: computer, webcam, mouse, tastiere, router entrano tutti nel conto della carbon footprint.

Vanno poi presi in considerazione anche i dispositivi che non vediamo ma che usiamo comunque, cioè quelli grazie ai quali gli Internet provider ci offrono il servizio.

In questo calcolo dobbiamo inserire anche un fattore ancora poco considerato: l’intelligenza artificiale. Oggi quasi ogni dispositivo, in un modo o nell’altro, usa l’intelligenza artificiale per migliorare le sue prestazioni: le fotocamere la usano per la fotografia computazionale, gli assistenti vocali per offrire risposte più accurate, gli stessi Internet provider per ottimizzare le connessioni.

L’intelligenza artificiale, però, va calcolata da dei computer (anche molto potenti) che, naturalmente, consumano energia elettrica. E si torna al discorso di prima: CO2 per produrre i computer, CO2 per tenerli accesi e farli lavorare. Lo stesso vale per i data center dei grandi servizi di intrattenimento in streaming e per tutto lo storage in cloud.

Come abbassare la carbon footprint di Internet

abbassare co2 internet

A questo punto è lecito chiedersi se sia più ecocompatibile prendere la macchina e andare a fare una riunione in ufficio, oppure restare a casa e accendere la webcam.

Al momento, come dimostrano i dati del lockdown, vince Internet. Ma questo non vuol dire che dobbiamo accontentarci: molto altro si può fare

Da una parte ci sono le grandi aziende tecnologiche, che stanno investendo in modo massiccio sulle energie rinnovabili per produrre in modo pulito l’energia consumata dai data center. Dall’altra ci sono i singoli utenti, che possono fare molto per ridurre l’impronta di carbonio complessiva di tutto il loro ecosistema digitale.

Un esempio, che lascerà allibiti molti ma che trova fondamenta scientifiche in uno studio della Purdue University, nell’Indiana, è quello delle webcam che tutti usiamo durante le call di lavoro: spegnendole si risparmia l’emissione di una enorme quantità di CO2.

Quando la lasciamo accesa, infatti, il flusso video che dal nostro computer arriva a quelli degli altri partecipanti ha ovviamente la sua carbon footprint: la webcam consuma energia, il nostro computer deve consumare energia per comprimere il video e inviarlo via Internet (consumando energia) agli altri dispositivi, che consumeranno energia per decomprimere il video e mostrarlo sullo schermo.

Secondo la Purdue University, quindi, spegnendo la webcam le emissioni di CO2 prodotte dalla nostra videochiamata scendono del 96%. Ma non solo: scende anche il consumo di acqua e di terra, indirettamente derivanti dalla produzione di energia elettrica necessaria a tenere accesa la webcam e il flusso video.

La carbon footprint dello streaming

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Ora, questa ricerca ci porta a farci una domanda: se già il piccolo flusso video della nostra webcam, inviato a una manciata di partecipanti alla call, ha una impronta di carbonio allora quale saranno le emissioni di CO2 derivanti dall’uso delle grandi piattaforme di streaming come Netflix, Disney+, Amazon Prime Video, che inviano flussi molto più consistenti di dati a milioni di utenti contemporaneamente?

La risposta la troviamo nella stessa ricerca della Purdue University: lo streaming causa forti emissioni di CO2. I ricercatori hanno calcolato che la visione di sessanta minuti di film su Netlfix (ma il discorso vale anche per le altre piattaforme) causa l’emissione di quasi 450 grammi equivalenti di CO2.

Per comparazione, lo stesso tempo passato su Facebook causa l’emissione di una decina di grammi di CO2, mentre una videoconferenza di un’ora su Zoom ne causa poco più di 150 grammi.

Fonte Fastweb.it

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