Cos’è un algoritmo?

Un semplice concetto come quello di algoritmo può nascondere un’altissima complessità. Spesso si sente parlare di algoritmo dei social network, come Facebook o TikTok, o ancora dei motori di ricerca. Per questo motivo, gli algoritmi sembrano qualcosa con una vita propria e soprattutto sono diventati sinonimo di qualcosa di altamente tecnico e difficile da capire.

Ma è davvero un concetto così complesso? In realtà, si può affermare di no. Il significato di algoritmo è una sequenza di istruzioni da far eseguire a una persona oppure a una macchina, come un computer. In informatica, fissato il linguaggio di programmazione con cui parlare ai computer, e farli parlare tra loro, l’algoritmo sarà quella sequenza di istruzioni che dice alla macchina cosa fare ed è definito in un programma software. Ogni programma potrà quindi avere un livello di complessità sempre maggiore, ma esistono anche algoritmi molto semplici e che potremmo utilizzare senza il bisogno di un PC.

Algoritmi, chi li esegue: dagli uomini ai computer

Se si ritiene che un algoritmo sia un concetto utilizzato solo ai tempi del computer, si sbaglia. Già gli antichi babilonesi scrivevano algoritmi basati su equazioni matematiche per gestire le società agricole. La differenza tra gli algoritmi antichi e quelli moderni è solo una: chi esegue le istruzioni descritte nella sequenza, rispettivamente una persona o un computer.

Il passaggio degli algoritmi dal mondo “umano” a quello informatico avviene nella metà del XX secolo, quando i militari iniziano a utilizzare formule per determinare dove puntare un missile su un oggetto in movimento. Dagli scopi militari, poi sono entrati nel mondo aziendale, con computer in grado di eseguire formule per l’amministrazione e la contabilità. E ancora prima, nel campo della ricerca scientifica, per monitorare e misurare qualsiasi tipo di evoluzione, dai movimenti del cielo alla crescita di una coltura batterica in vitro.

Il punto di versa svolta arriva con l’algoritmo PageRank di Google. Con la nascita dei motori di ricerca e in particolare con quello di Google sviluppato da Larry Page e Sergei Brin, inizia l’era moderna degli algoritmi sempre più complessi che dominano la rete Internet e la nostra vita.

Da Facebook a Google: gli algoritmi sono ovunque

algoritmoTutte le grandi aziende utilizzano algoritmi per i loro feed e per suggerire comparazioni e ricerche e non sempre i numeri devono essere necessariamente coinvolti o devono trattarsi di complesse equazioni matematiche. In realtà, essi sono in grado di calcolare qualsiasi cosa e non è detto che debbano esserci dei numeri coinvolti.

L’algoritmo di Facebook, ad esempio, è estremamente complesso e sceglie cosa mostrare agli utenti del social network mentre scorrono la sezione Notizie. Per farlo, combinerà molti fattori tra cui le interazioni recenti tra i vari account e gli interessi in comune. Analogo il comportamento dell’algoritmo di TikTok o di altri social come Instagram e Twitter: valuteranno il feed da fornire all’utente per cercare di segnalare contenuti che gli potrebbero interessare.

Algoritmi come quelli degli e-commerce di Amazon o ancora di siti di streaming video come Netflix o musicali come Spotify invece studiano il gusto degli utenti per offrire dei prodotti, servizi, film o brani che possano anticipare i loro gusti.

Ci sono poi algoritmi che non pensiamo di utilizzare, ma che invece si radicano nelle nostre vite. Se si possiede una lavastoviglie, è bene sapere che è un algoritmo che spiega alla macchina quando interrompere il lavaggio e passare all’asciugatura. Anche nella stazione di servizio dove mettiamo carburante, la pistola del rifornimento scatterà quando si arriva a un certo livello del serbatoio ed è un algoritmo a dirle quando fermarsi. Non solo nei computer, gli algoritmi praticamente ci circondano.

Machine learning e intelligenza artificiale: il futuro degli algoritmi

algoritmoNegli ultimi anni con l’avvento dell’intelligenza artificiale e del machine learning si sta riscrivendo il futuro degli algoritmi e della tecnologia. Il livello di complessità aumenta, dato che i computer attraverso l’apprendimento automatico non sono più dei meri esecutori di sequenze di istruzioni, ma sono in grado scrivere in autonomia i propri algoritmi apprendendo nozioni dal mondo esterno.

Ad esempio, pensiamo di dover comunicare a un computer come cucinare un uovo. Il programmatore scriverà un algoritmo che, istruzione dopo istruzione, guiderà la macchina in ogni passaggio fino al risultato finale. Utilizzando l’intelligenza artificiale, il programmatore fornirà al computer i dati grezzi, l’uovo, e il punto finale, la frittata. Sarà poi la macchina, attraverso il machine learning, a definire tutte le istruzioni per arrivare dal punto A al punto B, scrivendo il proprio algoritmo e quindi imparando.

Si tratta di un risultato potente, dato che l’intelligenza artificiale è in grado di costruire algoritmi e spiegarli, mentre ad esempio l’intelligenza umana nasconde ancora dei misteri. Pensiamo a una persona che osserva un gatto: l’occhio vedrà il felino, invierà impulsi al cervello, che riconosce l’immagine e restituisce il riconoscimento del tipo di animale che abbiamo davanti. Ricostruire tutte le istruzioni che portano il cervello umano a riconoscere un gatto, ad oggi, resta un mistero.

Se invece si danno alcune foto di gatti a una intelligenza artificiale, e poi il punto finale di un gatto da riconoscere, questa implementerà il proprio algoritmo e ogni passaggio di come avviene il riconoscimento del gatto sarà definito. Per questo motivo, gli algoritmi nati dall’intelligenza artificiale hanno un potenziale totalmente da esplorare.

Algoritmi imperfetti e affatto misteriori

algoritmoImmaginare un algoritmo come un mistero da svelare o qualcosa di perfetto, quindi, è totalmente sbagliato. Queste sequenze di istruzioni possono essere altamente complesse e complicate, ma sono pur sempre definite e piene di difetti. Gli algoritmi sono infatti il frutto del lavoro dell’uomo e spesso sono costituiti da migliaia di righe di istruzioni in cui trovare un errore è molto comune.

Ad esempio, gli algoritmi possono avere dei pregiudizi. Si pensi a un algoritmo che deve valutare il candidato migliore per un’assunzione. Tra i parametri si potrebbe fissare il tipo di università frequentata o il voto di laurea, che renderebbe il candidato A coi voti più alti e l’istituto di prestigio migliore del candidato B, senza poter valutare la componente umana e l’intelligenza che invece di persona farebbero ricadere la scelta sul secondo.

Il pregiudizio che così si crea è legato principalmente a un problema di input/output delle informazioni o delle caratteristiche da filtrare. Si tratta di un bias che con l’intelligenza artificiale rischia di essere ancora più marcato. Sono diversi infatti gli studi che dimostrano come l’intelligenza artificiale possa rispecchiare gli stereotipi di genere e razza degli umani che lo addestrano.

Ad esempio, un algoritmo di machine learning per l’associazione di parole dopo aver studiato l’intera lingua inglese ha determinato che i nomi femminili, e quindi le donne, sono più associati alle arti e alla letteratura, mentre i nomi maschili, quindi gli uomini, sono più associati alla matematica e alle scienze. Esempi come questo permettono di comprendere che gli algoritmi non sono neutri, né perfetti o abbiano una volontà: sono solo il riflesso di ciò che il programmatore umano e i dati gli dicono di fare, imperfetti quanto coloro che li hanno sviluppati.

Fonte Fastweb.it

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