Medici e infermieri, bardati con mascherine e protezioni di vario tipo, sembrano tutti uguali, praticamente irriconoscibili. Però, soprattutto in alcuni reparti, il rapporto umano, i sorrisi, gli sguardi fanno parte integrante della terapia.
Per provare a superare, almeno parzialmente, questo ostacolo, nei reparti di dialisi del Policlinico Sant’Orsola di Bologna hanno avuto un’idea semplice e geniale: applicare su ogni camice una spilla con un nome e un disegno per dare un volto al personale sanitario nascosto dalle protezioni.
Sono arrivate, infatti, le spille avatar per vedere “oltre” la mascherina. La spilla, applicata sul camice, oltre al nome, riporta un disegno, un avatar appunto, che rappresenta chi la indossa e che risponde alle domande che spesso i pazienti hanno rivolto ai sanitari: avrà i capelli castani o neri? Lisci o ricci? Avrà gli occhi azzurri o marroni? Come in una sorta di ‘Indovina chi?’ in carne e ossa.
Gli avatar sono stati creati e donati da Laura Zavagli, un’artigiana di Calderara di Reno, che ha avuto l’idea e l’ha portata avanti assieme a Pietro Giurdanella coordinatore infermieristico delle dialisi e presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche Bologna.
La vita negli ospedali è difficile e, in tempo di coronavirus, è più dura del solito. Le priorità, ovviamente, sono tutte rivolte all’emergenza Covid: dalla cura dei malati alle attenzioni che non sono mai troppe per cercare di evitare che il contagio si diffonda. E quindi, spesso, a passare in secondo piano, sono quei piccoli e semplici gesti che servono per rendere meno dura la permanenza dei degenti.
Gli avatar colorati sui camici del personale sanitario del reparto di dialisi del Policlinico del Sant’Orsola non servono solo a portare un sorriso in reparti segnati dalla sofferenza o a permettere ai pazienti di individuare al volo i loro medici/amici, conosciuti magari in anni di frequentazione.
Servono anche allo stesso personale, che spesso, nonostante lavori insieme da tempo, fatica a riconoscersi dietro alle protezioni individuali e a capire chi si celi dietro l’armamentario protettivo che l’emergenza Coronavirus impone.
“Il progetto funziona – racconta Francesca Presentati, un’infermiera del reparto che ha seguito il progetto – oltre all’impatto positivo sui pazienti, aiuta anche noi: quando siamo tutti bardati fatichiamo a riconoscerci”.
(in collaborazione con ANSA).
Fonte Salute.gov.it News