David Lynch, 75 anni di un guru dell’arte visiva

(ANSA) – ROMA, 18 GEN – Lo hanno definito l’ultimo uomo del
Rinascimento, l’autentico surrealista americano, il regista più
misterioso di Hollywood. In realtà nessuna definizione si adatta
fino in fondo al carattere e al talento di David Keith Lynch,
nato a Missoula nel Montana il 20 gennaio 1946, che mercoledì
compie 75 anni. Tutta la sua arte è un continuo travaso di
esperienze visuali, meditazione, viaggi nell’inconscio e nelle
ossessioni giovanili, come a voler ricreare il tessuto emotivo
di una generazione e dell’America profonda.
    La svolta nella carriera da cineasta di David Lynch viene col
secondo film, “Elephant Man” (1980). Dino De Laurentiis gli
consegna il progetto della vita: l’adattamento di una saga
visionaria come “Dune” di Frank Herbert. Alle prese con un
budget da blockbuster (45 milioni di dollari del 1984) e la
pressione del tamtam mediatico, il regista si smarrisce.
    Sull’orlo di una profonda depressione David Lynch porta a De
Laurentiis un nuovo copione, quasi a risarcimento del flop
precedente. In una cornice nostalgica da noir classico, ha messo
in “Velluto blu” (1986) tutte le sue ossessioni, i fantasmi dei
paesini di montagna in cui è cresciuto, i suoni dell’America
anni ’50, la fascinazione del male e delle misteriose dark
ladies. Sceglie attori poco costosi come il dimenticato Dennis
Hopper, la sua icona Isabella Rossellini, il giovane Kyle
McLachlan scoperto in “Dune”; incontra il musicista Angelo
Badalamenti che farà la sua fortuna, ripaga la fiducia del
produttore con un vero trionfo critico e la seconda (di tre)
nomination all’Oscar come miglior regista. Tre anni dopo il
produttore Mark Frost che gli apre le porte della tv con la
serie per l’ABC “I segreti di Twin Peaks”: gli americani non
avevano mai visto nulla di simile e la serie diventerà il punto
di riferimento di tutta la fiction di fine secolo. Nel frattempo
ha vinto la Palma d’oro a Cannes con “Cuore selvaggio”,
realizzato i più misteriosi noir degli anni ’90 (“Strade
perdute” e “Mulholland Drive”), dato sfogo alla sua fantasia
surreale con “Inland Empire”, vinto un Leone d’oro a Venezia nel
2006. L’Oscar alla carriera del 2019 mette un punto fermo al suo
talento. (ANSA).
   

Fonte Ansa.it

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