(ANSA) – ROMA, 09 MAR – E’ “innegabile portato della
evoluzione della società negli ultimi decenni la acquisizione
della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di
orientamento sessuale” e del fatto che essa “attiene ad una
sfera intima e assolutamente riservata della persona” pertanto “l’intrusione in tale sfera” con “modalità di scherno”, –
dicendo a una collega “come sei uscita incinta tu? non sei
lesbica?” – in ambiente di lavoro, non può essere considerata
solo “una condotta inurbana” ma è una vera “discriminazione” da
punire con il licenziamento in tronco. Lo sottolinea la
Cassazione. Così la Suprema Corte – verdetto 7029 della Sezione
lavoro – ha accolto il ricorso della Tper spa, società emiliana
di trasporto pubblico, che voleva licenziare in tronco, per “giusta causa” e senza alcun diritto ad indennità, uno degli
autisti suoi dipendenti che alla fermata dei pullman aveva
rivolto a una collega, che da poco aveva partorito due gemelli,
la frase “ma perchè sei uscita incinta pure tu? ma perchè non
sei lesbica tu?'”, e con fare “irrisorio” aveva aggiunto “e come
sei uscita incinta?'”. La donna, autista anche lei, aveva subito
presentato un esposto all’azienda. Ma per la Corte di Appello di
Bologna quelle parole erano solo un “comportamento inurbano” e
non meritavano il licenziamento in tronco, ma solo il recesso
unilaterale del datore con condanna a indennizzare l’autista con
venti mensilità. Secondo gli “ermellini”, invece, “la
valutazione del giudice di merito nel ricondurre a mero
comportamento ‘inurbano’ la condotta di Michele M. non è
conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi
dell’ordinamento”. Per la Cassazione, non si tratta di “un
comportamento contrario soltanto alle regole della buona
educazione e degli aspetti formali del vivere civile” ma di una
condotta “in contrasto con valori ben più pregnanti, ormai
radicati nella coscienza generale ed espressione di principi
generali dell’ordinamento”. Ora la Corte di Appello deve
rivedere la sua decisione e verificare la sussistenza della
giusta causa di licenziamento “alla luce della corretta scala
valoriale di riferimento”. (ANSA).
Fonte Ansa.it