La parola “hacker” è ormai di uso comune e viene utilizzata frequentemente anche da persone prive di reali competenze informatiche. Il problema è che, fin troppo spesso, la parola hacker viene utilizzata a sproposito.
Per avere un’idea più chiara della questione, basterà pensare al mondo del Cinema e al suo classico racconto degli hacker: cyber-criminali senza privi di ogni morale, che si intrufolano all’interno dei sistemi più protetti per rubare risorse preziose.
Lo stesso discorso vale per il modo in cui l’informazione generalista parla di come hackerare e, più in generale, di sicurezza informatica. Anche sulla carta stampata infatti, leggere di hacker significa quasi sempre leggere di esperti senza scrupoli, pronti a violare i computer della povera gente per bene.
In realtà, la sopracitata parola hacker racchiude un vero e proprio mondo al suo interno: esistono infatti tante diverse tipologie di hacker e soltanto alcune rappresentano un pericolo per gli altri. Per il resto, la stragrande maggioranza degli hacker è composta da semplici esperti di programmazione e di informatica: utenti che utilizzano le loro competenze per migliorare il livello di sicurezza della rete e dei sistemi.
Imparare come diventare un hacker dunque non significa necessariamente intraprendere una cattiva strada: al contrario, significa soprattutto specializzarsi in un settore di pubblica utilità che, tra l’altro, può offrire interessanti opportunità di guadagno.
Chi sono gli hacker e quante tipologie ne esistono
Il termine hacker deriva dal verbo inglese “to hack”, che, in italiano, può venire tradotto in tanti modi diversi: infatti può significare sia “tagliare”, che “ridurre a pezzi” o “sminuzzare”. In ambito informatico, il verbo “to hack” ha però un’ulteriore sfumatura di significato: fa infatti riferimento all’insieme di competenze necessarie a comporre software andando oltre le regole indicate dalla singola procedura ufficiale.
Gli hacker sono quindi coloro che riescono a ridurre in pezzi il programma e ad aprirsi un varco tra le righe del suo codice. Imparare come hackerare non significa però volere necessariamente arrecare un danno al programma o al sistema che è stato violato. Esistono infatti numerose tipologie di hacker e la maggior parte di esse mette la propria professionalità a disposizione di clienti e utenti.
È il caso, ad esempio, degli hacker buoni, generalmente noti col nome di white hat (“cappelli bianchi”): questi hacker non sono minimamente pericolosi e, anzi, utilizzano le loro abilità per rendere la rete sempre più sicura. Gli white hat infatti spesso forzano i sistemi su diretta commissione dei loro creatori: vengono quindi convocati per analizzare i codici e individuare eventuali falle, in modo che si possano sviluppare soluzioni preventive.
Niente a che vedere con i criminali della rete che violano sistemi informatici per ottenere un vantaggio personale. Questi ultimi sono noti col nome di cracker o di black hat (“cappelli neri”): esperti informatici effettivamente pericolosi, che sfruttano le proprie competenze con l’obiettivo dichiarato di creare danni al prossimo. Nel mezzo si trovano invece i cosiddetti grey hat (“cappelli grigi”): hacker che tendenzialmente rappresentano un rischio per l’utente, ma che, in certi casi, si ritrovano ad infrangere la legge in nome di determinate convinzioni etiche.
White hat, come diventare un hacker per la sicurezza
Secondo diverse fonti, la cultura hacker sarebbe nata in determinate comunità di programmatori che gravitavano attorno al celebre MIT: un acronimo che sta per Massachussetts Institute of Technology e che fa riferimento a una delle università di ricerca più importanti di tutto il mondo.
Agli inizi, imparare come hackerare un sistema era un vero e proprio vanto: una specie di prova di abilità, che permetteva agli studenti e ai programmatori di affermare la propria eccellenza. Inoltre, come già anticipato in precedenza, queste attività di hacking non avevano alcun tipo di scopo distruttivo: al contrario, spesso finivano con l’evidenziare criticità dei sistemi violati, creando quindi il primo presupposto utile all’applicazione di correttivi.
Oggi non è necessario frequentare costose università internazionali per sviluppare le competenze necessarie a effettuare un hacking. Chiunque sia interessato a imparare come diventare un hacker, può infatti iniziare a studiare anche da semplice autodidatta, sfruttando le numerose risorse disponibili all’interno della rete.
In tal senso, esistono tanti corsi a disposizione di un utente volenteroso, così come esistono tanti piccoli passi (o meglio, tante piccole procedure) che possono aiutare a diventare un esperto di sistemi informatici. Uno di questi consiste sicuramente nell’imparare le basi dell’HTML: il linguaggio di markup che permette di formattare e impaginare milioni e milioni di pagine web di tutto il mondo.
Come guadagnano gli hacker buoni
Imparare come hackerare può portare a sviluppare competenze molto utili e, in certi casi, molto remunerative. Il tutto ricordando ancora una volta che esistono diverse tipologie di hacker e che, in questo caso, si fa riferimento soltanto ai cosiddetti white hat: gli hacker buoni, che spesso vengono incaricati di violare programmi dalle stesse aziende che li hanno realizzati.
Per avere un’idea delle possibilità di guadagno che ha un hacker di alto livello, basterà citare il caso di Hackerone: una società che si è specializzata proprio nell’individuazione di vulnerabilità all’interno di software e servizi web vari. Ebbene, secondo i portavoce dell’azienda, gli hacker di Hackerone producono un guadagno annuo da decine di milioni di dollari.
Una cifra semplicemente impressionante, che, in certi casi, finisce dritta nelle tasche del singolo white hat. In tal senso, sempre stando a Hackerone, durante la stagione 2019 ben sei professionisti dell’hacking sono riusciti a guadagnare più di un milione di dollari ciascuno.
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Fonte Fastweb.it