(di Giorgio Gosetti) (ANSA) – ROMA, 07 GIU – Il pubblico italiano conosce il nome
di Erik Gandini (pluripremiato regista di documentari
italo-svedese) soprattutto per il successo di Videocracy,
presentato alla Mostra di Venezia nel 2009 e dedicato, tra
vivaci polemiche, al fenomeno del berlusconismo nella società
dell’apparenza. In realtà Gandini, che insegna cinema
documentario all’Università di Stoccolma, ha diretto e prodotto
in questi anni molti apprezzati lavori come La teoria svedese
dell’amore e adesso ritorna sugli schermi italiani con After
Work co-prodotto con Propaganda Italia e Rai Cinema, distribuito
da Fandango dal 15 giugno.
Il suo viaggio in Italia parte dalla Casa del cinema di Roma ma
proseguirà con l’anteprima italiana al Biografilm di Bologna
l’11 giugno quando After Work sarà capofila di una sezione
speciale del programma con tre titoli dedicati al tema del
lavoro. “Da tempo – racconta Gandini – ho l’incubo ricorrente di
arrivare alla fine della vita redendomi conto di aver lavorato
troppo, di non aver lasciato spazio ad altro, dai miei figli
fino ad a diverse passioni ed esperienze. Eppure io faccio parte
di una minoranza privilegiata che lavora nel campo che ama,
facendo cose in cui credo. Ma in quanti siamo a poter vivere
così? Secondo una ricerca di Gallup siamo il 15% circa di tutta
la popolazione lavoratrice nel mondo. Sono partito da questo
pensiero per fare un viaggio intorno a un’idea: che posto deve
avere oggi il lavoro nelle nostre vite? C’è una ricetta per dare
un senso al lavoro? Non ho trovato risposte in questo film, ma
ho trovato molte storie e tante domande”.
After Work segue diversi protagonisti ai quattro angoli del
mondo: dall’America dove il lavoro è un’ossessione comune senza
il quale sembra impossibile vivere, alla Corea in cui questa
ossessione produttiva sta diventando una malattia sociale, dal
Kuwait dove tutti i cittadini hanno la garanzia di un impiego a
vita ma sono altrettanti infelici fino all’Italia. “Il paradosso
del lavoro – riflette Gandini – è che molte persone odiano il
proprio lavoro ma sono molto più infelici se non fanno nulla. Ho
cercato di capire perché”. (ANSA).
Fonte Ansa.it