Chi ha detto che i bambini non possono insegnare a un’IA? Anzi, possono essere più utili rispetto a tutti i testi del mondo. È questa la conclusione a cui è giunto un team di ingegneri informatici della New York University dopo aver addestrato un software di apprendimento linguistico tramite… un bebè. Per un anno e mezzo, infatti, ovvero dai sei mesi e fino al compimento dei due anni di età, il piccolino ha indossato più volte a settimana, per qualche minuto, un caschetto dotato di telecamera e microfono. Grazie a questo espediente, ha mostrato all’IA ciò che vedeva, facendogli ascoltare le sue emissioni vocali sin dalle prime parole apprese, il tutto per un totale di appena una sessantina di ore di registrazione.
Less is more. Il perché di un esperimento del genere è presto detto: i nuovi sistemi di IA sono attualmente in grado di imparare e di utilizzare il linguaggio umano, ma a causa del sovrannumero di input linguistici a cui vengono sottoposti, i ricercatori si sono sempre detti scettici circa la possibilità che le IA possano aiutarci a comprendere al meglio i processi di apprendimento e di sviluppo della nostra specie. Parliamo di migliaia di miliardi di parole, in centinaia di lingue, rispetto ai pochi milioni che ascolta un bambino in un anno, solitamente nella stessa lingua. Una procedura ideale sarebbe quella di istruire il software esattamente nel modo in cui apprende un bambino. Ed è questo ciò che hanno fatto gli studiosi statunitensi.
Cominciare dalle basi. I risultati dell’esperimento, pubblicati sulla rivista Science, hanno mostrato che l’intelligenza artificiale è stata in grado di acquisire un numero considerevole di parole e di concetti, utilizzando il materiale raccolto in appena l’1% delle ore di veglia del bimbo nei 18 mesi di test. Rispetto agli addestramenti standard, grazie a questo sistema si è riusciti per la prima volta a insegnare alla macchina il modo in cui sin da piccoli impariamo nozioni e procedimenti, collegando le parole al corrispettivo visivo. Così facendo, l’IA ha iniziato a generare una serie di algoritmi abbinati alla sua inedita esperienza. Una volta affinati, questi potranno essere utili per incrementare la nostra comprensione dello sviluppo del linguaggio da parte di un infante.
Esperimento riuscito. Una volta completata la fase di studio, i ricercatori hanno testato il modello interrogandolo e verificando se fosse stato in grado di associare correttamente suoni e immagini.
I risultati hanno mostrato non solo che l’Intelligenza artificiale aveva appreso un numero considerevole di parole e di concetti presenti nell’esperienza del bebè, ma che riusciva persino a servirsi delle nuove conoscenze in esperienze inedite, proprio come fanno i bambini. I ricercatori sono ottimisti circa la possibilità che studi del genere potranno essere utili in futuro per correggere eventuali disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, anche in fase precoce.
Fonte Focus.it