(ANSA) – ROMA, 05 MAR – Le oramai celebri e celebrate
cantine anni ’70 della neoavanguardia romana hanno sicuramente
un antecedente storico nella ricerca sperimentale del Teatro
degli Indipendenti, ricavato in uno scantinato in Via degli
Avignonesi, tra i resti delle Terme romane di Settimio Severo.
Gli spazi furono sistemati dall’architetto futurista Virgilio
Marchi, per creare sale d’esposizione e un piccolo teatro
diretto da Anton Giulio Bragaglia, che iniziò l’attività proprio
cento anni fa, a inizio 1923.
Bragaglia vi allestì circa 150 spettacoli sino al 1936 e,
oltre a alcuni lodati balletti e pantomime musicali, due atti
unici che gli diede Pirandello, ”Le mammelle di Tiresia” di
Apollinaire presentato da Marinetti e molti testi di nomi
italiani spinti a scrivere per il teatro, da Riccardo Bacchelli
a Achille Campanile, e scoperte di stranieri da Wedekind a Jarry
ma anche O’ Neill e Brecht con ”L’opera da tre soldi”.
Nato nel 1890, quindi all’epoca poco più che trentenne, e morto
ottantenne nel 1960, andava avanti per la sua strada, e con un
certo seguito, parlando di ”eclettismo e ricerca
d’avanguardia”, che ”si ispira al grande teatro”, così che
quei suoi spazi furono negli anni Venti uno dei luoghi della
capitale più vivaci della cultura d’avanguardia, spesso detta
per semplificare futurista. Ritrovo e occasione di confronto
degli intellettuali, Bragaglia vi faceva conoscere cose nuove
sia a teatro sia con le mostre, dando spazio agli artisti
emergenti, partendo da Depero e Boccioni per arrivare a
Trombadori, Socrate, Francalancia, Bartolini, Mafai e tanti
altri che avrebbero dato vita alla cosiddetta Scuola romana,
oltre a riproporre le ricerche fotografiche ‘fotodinamiche’ del
fratello Carlo Ludovico, che diverrà poi apprezzato regista
cinematografico.
Un operato così libero e intenso portò la Casa d’arte e il
Teatro a continue crisi finanziarie e quando ristorante e
tabarin finirono nelle mire del moralismo fascista sui locali
notturni, per fare fronte alle perdite, Bragaglia intraprese una
tournée sudamericana, affidando le attività di Via degli
Avignonesi, al fratello Anton Giulio. Ma non bastò e poco dopo
il suo ritorno, nel 1930, si decise chiudere, mettendo tutto
all’asta. (ANSA).
Fonte Ansa.it