(ANSA) – ROMA, 19 GIU – Il coronavirus ha ucciso a 91 anni
Milkha Singh, detto il ‘Sikh volante”, un delle più grandi
leggende dell’atletica leggera dell’India, mezzofondista
vincitori di diversi ori e che si fece notare alle Olimpiadi di
Roma del 1960 con un quarto posto nella finale dei 400 metri
dove esibì davanti al mondo i proverbiali capelli lunghissimi
annodati sulla testa, secondo l’usanza dei Sikh. Singha
sopravvisse da adolescente allo sterminio della sua famiglia
nelle violenze religiose seguite all’indipendenza dell’India nel
1947, e la Bbc gli ha tributato un omaggio come all’uomo che “imparò a correre per salvarsi la vita”.
Singh, che è deceduto in ospedale a Chandigarh, nel nord
dell’India, è sopravvissuto solo di pochi giorni alla morte
della moglie, 85/enne ex campionessa di pallavolo Nirmal Kaur,
anche lei arresasi al Covid.
Singh ha vinto cinque medaglie d’oro in altrettanti
campionati asiatici di atletica e nel 1959 è stato omaggiato del
Helms World Trophy per aver vinto 77 delle 80 gare
internazionali disputate. Fu anche oro nei giochi del
Commonwealth del 1958.
Nato nel 1930 da famiglia sikh nella colonia britannica in un
piccolo villaggio del Multan, vide morire entrambi i genitori e
sette fra fratelli e sorelle durante le violenze
etnico-religiose seguite alla partizione fra India e Pakistan
contestuale all’indipendenza del 1947. Nel 2013 anche Bollywood
gli ha reso omaggio con un film, “Bhaag Milkha Bhaag” (Corri
Milkha, corri), intitolato come le ultime parole che gli avrebbe
urlato il padre prima di venire ucciso, in cui si rievocava la
sua traumatica adolescenza e si stabiliva un nesso profetico fra
quelle parole e la sua futura carriera sportiva: un talento
emerso durante la sua militanza nell’esercito indiano. (ANSA).
Fonte Ansa.it