Il quantum computing, cioè l’informatica basata sugli stati quantici, è l’attuale frontiera dell’ingegneria elettronica. Una frontiera ricca di promesse, come la capacità di elaborare quantità oggi impensabili di dati, grazie alla sostituzione di bit con i qubit. Che, a differenza dei bit, possono rappresentare non solo lo stato di 1 o 0, ma anche una sovrapposizione di 1 e di 0.
Sycamore, il computer quantistico sviluppato da Google, è riuscito a completare in pochi minuti (per la precisione in 200 secondi) un calcolo che il computer tradizionale più potente al mondo, il Summit di IBM, avrebbe completato in circa 10.000 anni. Google, per questo, si è vantata di aver raggiunto la cosiddetta “supremazia quantistica“, affermazione molto criticata sia dagli scienziati che dai suoi concorrenti nel mercato dell’elettronica.
Quel che è certo, però, è che i computer quantici saranno il futuro ma hanno ancora un enorme difetto: sono quasi impossibili da mettere in rete. Una Internet quantistica, per capirci, non solo ancora non c’è ma nessuna sa ancora come sarà. I qubit, infatti, non si trasmettono per via telematica così facilmente come i bit. Un recente studio del MIT e di Harvard lascia presagire che l’Internet quantistico potrebbe essere fatta di diamanti.
Perché non esiste una Quantum Internet
Partiamo dal problema, per poi cercare di capire la soluzione ipotizzata dai ricercatori. In una rete classica, fatta di computer tradizionali, se vogliamo inviare un messaggio via Internet i bit seguiranno una linea più o meno “dritta”, passando da uno o più ripetitori di segnale che riceveranno il segnale, lo amplificheranno e lo spediranno al prossimo nodo della rete, fino a destinazione. Ognuno di questi pit stop dei bit è un pericolo, perché potrebbe diventare oggetto di un attacco hacker.
Se vogliamo inviare un messaggio quantico, invece, il processo è molto diverso perché le reti quantistiche usano quanti di luce (cioè singoli fotoni) per comunicare stati quantici su lunghe distanze. Queste reti hanno una caratteristica specifica del quantum computing: l’entanglement. Vagamente traducibile con “intreccio” o, un po’ più precisamente, con “correlazione quantistica“, l’entanglement quantistico consente ai pezzetti di informazione in viaggio da un punto all’altro di essere perfettamente correlati anche a distanza.
Ma poiché i sistemi quantistici non possono essere osservati senza essere modificati, ciò vuol dire indirettamente che se durante il trasporto i dati sono cambiati allora qualcuno li ha letti. C’è stata, in sostanza, una qualche forma di intercettazione che ha modificato i dati. Questo concetto è anche alla base della crittografia quantistica.
La comunicazione quantistica su lunghe distanze, però, è resa molto difficile dalle perdite di fotoni lungo il tragitto ed è per questo che, ancora oggi, non esiste qualcosa che possa essere considerata la “versione quantistica” di Internet. Il grosso del problema, infatti, è nella trasmissione e non può essere neanche risolto facilmente, perché un eventuale ripetitore classico, leggendo i dati, inevitabilmente li modificherebbe. È necessario quindi sviluppare un “ripetitore quantistico”: un piccolo computer quantistico che abbia il solo scopo di catturare ed elaborare qubit quantici, correggerne eventuali errori indotti da naturali fluttuazioni degli stati quantici e archiviarli per un tempo sufficientemente lungo da consentire al resto della rete di essere pronta a riceverli.
Quantum Internet: la soluzione nel diamante?
Secondo i ricercatori dell’Università di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology la soluzione a questo enorme problema quantistico potrebbe essere trovata nel diamante. Per la precisione un diamante al cui interno è stato creato una sorta di “vuoto” sostituendo due atomi di carbonio con uno di silicio, creando così una regione che può immagazzinare temporaneamente lo stato quantico trasportato da un fotone.
Il sistema riceve un fotone in arrivo dal punto A, lo memorizza senza distruggerlo o modificarlo abbastanza a lungo per ricevere un fotone dal punto B. Dopo aver fatto la sincronizzazione e l’entanglement di questi fotoni, il sistema produce una chiave di sicurezza correlata quantisticamente ai due fotoni, decrittabile solo dai mittenti dei due fotoni stessi. Il dispositivo è in grado di memorizzare le informazioni quantistiche per alcuni millisecondi, abbastanza a lungo da consentire il trasporto delle informazioni per migliaia di chilometri, ma può funzionare solo a temperature vicine allo zero assoluto, cioè -273 gradi Celsius.
“Questo dispositivo combina i tre elementi più importanti di un ripetitore quantistico: una memoria a lungo termine, la capacità di estrarre in modo efficiente le informazioni dai fotoni e un modo per elaborarle localmente – ha affermato Bart Machielse, uno dei ricercatori – Ognuna di queste sfide è stata già affrontata separatamente, ma nessun dispositivo aveva ancora combinato tutte e tre queste caratteristiche“.
Il futuro delle reti quantiche
La ricerca del MIT e di Harvard mostra una delle possibili strade per realizzare reti di computer quantistici sicure, efficienti e scalabili aggiungendo ulteriori nodi. “Attualmente, stiamo lavorando per estendere questa ricerca implementando le nostre memorie quantistiche in veri e propri collegamenti urbani in fibra ottica – spiega un altro dei ricercatori di questo progetto, Ralf Riedinger – Abbiamo in programma di creare grandi reti di memorie quantistiche ed esplorare le prime applicazioni di una Internet quantistica“.
Ci vorranno però anni prima di vedere una rete del genere, sempre che altre tecnologie non prendano il sopravvento. Ma, in realtà, di computer quantici da mettere in comunicazione tra loro al momento ce ne sono veramente pochi: tolte le eventuali macchine in uso ai militari, sulle quali non è possibile sapere quasi nulla, nei laboratori di tutto il mondo al momento ci sono appena una quindicina di quantum computer in funzione.
Fonte Fastweb.it