Brand e persone? Un legame emotivo che in molti, tra i primi, sperano di stringere per un lungo periodo ma in pochi effettivamente ci riescono.
Ci hanno provato più volte, a scrivere gli ingredienti di una delle ricette forse più gustose e sfidanti del mercato di oggi.
In anni recenti abbiamo visto che le abitudini sono state stravolte, i bisogni sono cambiati drasticamente, la sensibilità delle persone si è profondamente modificata. Se n’è occupato recentemente uno studio del 2021, Love Brand Story della piattaforma di consumer intelligence Talkwalker. La società ha analizzato oltre un migliaio di brand globali in 30 settori, al fine di identificare i più amati durante la pandemia. Non essendo l’amore una metrica tangibile, lo studio si è basato sull’analisi delle conversazioni su social media, stampa, blog e le funzionalità del tool proprietario di sentiment analysis e speech analytics. In questo modo sono stati identificati i fattori chiave dell’amore per i brand e le connessioni emotive che si instaurano tra consumatori e marca.
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Ma davvero possiamo ancora provare ad immaginare, ancora oggi, gli ingredienti di una ricetta così complicata? Soprattutto in un momento in cui si parla tantissimo anche di mondi paralleli, di Metaverso e di web 3.0?
Internet ci consente oggi di essere potenzialmente tutti insieme, nello stesso momento e – volendo – nello stesso posto. Il Metaverso di cui tanto si parla è in parte questo, un luogo in cui digitale e reale sono integrati e mixati.
Parlando di etimologia, una possibile accezione di “meta” è “oltre”. E, se ci pensiamo, lo sforzo dell’essere umano di pensare oltre è un tentativo di raccontare mondi possibili o, appunto, paralleli. Come le fiabe, che ci accompagnano fin dall’infanzia. È un “tendere verso” che non ci sorprende davvero del tutto, perché ha radici profonde nella nostra storia.
La domanda che ci si può porre in questo momento è: come si modifica il valore delle relazioni tra persone e brand, in questo nuovo contesto?
Il Metaverso da un lato rappresenta un’incognita, qualcosa che al momento non conosciamo ancora abbastanza e che, fino al momento in cui non ne faremo esperienza diretta, probabilmente è immaginabile fino ad un certo punto nelle sue mutevoli sfaccettature.
È possibile immaginare un mondo virtuale davvero immersivo, dove socializzeremo, lavoreremo, ci divertiremo e faremo acquisti in sicurezza? E questo mondo, finirà poi per impattare sul nostro tessuto sociale?
C’è da immaginarsi, dicono, uno scenario in cui i brand nel tempo tenderanno a riprodurre i propri prodotti all’interno di questa dimensione, in modo da consentire alle persone che la frequentano di utilizzarli e di farne nuova esperienza.
D’altro canto, l’interesse e curiosità verso questo “nuovo mondo” si accompagna alla paura di restarne tagliati fuori (così detta Fear of Missing Out, o FOMO), e al momento il Metaverso sembra essere davvero ancora per pochi, non da ultimo per aspetti non esattamente secondari in questo periodo (leggi budget importanti da investire).
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Ma è solo questione di tempo, lo afferma uno dei massimi esperti di tecnologie digitali applicate al business, Lorenzo Montagna, autore del libro Metaverso. Noi e il web 3.0. Infatti, secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza McKinsey & Co, le imprese e i consumatori spenderanno 5 trilioni di dollari da qui al 2030 proprio sul Metaverso.
I fashion brand, Gucci in primis, hanno già cavalcato l’onda: sono saliti a bordo anticipando gli altri, probabilmente nel tentativo di colmare quel gap, in pericoloso ampliamento, nel dialogo con le nuove generazioni, perché nei confronti del Metaverso tutti gli indicatori registrano un’attenzione massima di generazione Z e Alpha.
Gucci ha condotto diverse attivazioni per capire dove e come entrare in contatto con la Generazione Z e lo scorso anno ha attirato quasi 20 milioni di visitatori in due settimane, dopo aver lanciato su Roblox una versione digital del Gucci Garden. Certo al momento sono ancora poche, nel complesso, le aziende che hanno intrapreso questa strada.
Sempre secondo il rapporto di McKinsey, gli utenti tendono comunque a considerare i marchi presenti nel Metaverso fortemente innovativi, e questo porta di conseguenza i brand a impegnarsi sempre più per poter offrire experience che soddisfino le loro aspettative.
È fondamentale perciò, per i brand, individuare un equilibrio tra pubblicità, esperienze immersive (come ad esempio fiere, giochi, negozi virtuali, eventi) e collegamenti con il mondo fisico.
Ma una delle caratteristiche forse più potenti di questi “momenti” a cui assistono contemporaneamente più persone è la condivisione delle emozioni. Pensiamo ad una sfilata di moda, o ad un concerto.
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D’altro canto non conta più – o non solo – la numerosità delle relazioni, pensando anche a ciò che ci insegnano i social network. Conta la consistenza e la profondità delle relazioni stesse: ciò che generano, quelle connessioni. Ed è per questo che le aziende si stanno impegnando a creare relazioni consistenti con le persone, che possibilmente durino nel tempo e per cui gli utenti si sentano di diventare portavoce dei valori della marca, sentendo affinità con i propri. Ciò significa anche permettere alle persone di fare esperienze che, diversamente, non sarebbe consentito loro di vivere.
Ad esempio, poter assistere ad un concerto almeno in forma virtuale, anche se i posti sono esauriti. Poter visitare una fiera, anche se si tiene in una città dall’altra parte del mondo. E queste forme di “abilitazione” sono soltanto le prime ad essere state sperimentate, siamo ancora in una fase iniziale. Chissà quali altre forme prenderà questo fenomeno.
Una delle professioni del prossimo futuro avrà a che fare con questo? Esisteranno i creator di esperienze? Viene a mente l’experience designer di cui si parla da qualche anno, forse è davvero arrivato il suo momento.
Un’altra interessante angolatura del tema è fornita in questi giorni da Tony Fadell che, insieme a Steve Jobs, ha rivoluzionato il mondo della musica con l’ideazione di iPod.
Secondo una recente intervista di uno dei top manager più corteggiati della Silicon Valley, il Metaverso sarebbe una pura invenzione di marketing, un esperimento destinato a creare un ambiente dove le relazioni diventano tossiche, obbligate dietro ad uno schermo. Al pari dei social network.
Quale sarà lo scenario dunque? La sfida per i brand sarà certamente quella di continuare a ricercare un punto di equilibrio ideale tra una forte identità di marca, in piena coerenza su tutti i canali, con grande capacità di adattare il tono di voce, il linguaggio e i contenuti.
Al di là del business, probabilmente i brand dovranno continuare a ricercare quell’autenticità che consente di raggiungere il tanto desiderato vantaggio competitivo: ciò che rende un brand qualcosa da cui non ci si vuole separare. Anche passando per il Metaverso.
Perché delle cose autentiche, raccontate con chiarezza e trasparenza, prestando attenzione a tutte e tutti, e avendo cura dell’ambiente e del sistema sociale in cui viviamo, ci si innamora.
Avrà ancora successo questo paradigma nelle “relazioni aumentate”? Staremo a vedere, capitolo tutto da scoprire e, in buona parte, ancora da scrivere.
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Fonte Fastweb.it