BRUXELLES – Twitter ha scelto “lo scontro” con l’Unione Europea – in particolar modo con il suo braccio esecutivo, la Commissione – e ora rischia di pagarne le conseguenze. Il messaggio non è rassicurante e viene dalla vicepresidente responsabile per i Valori e la Trasparenza, Věra Jourová, al termine dell’incontro con i firmatari del Codice anti-disinformazione, che comprende 44 tra i maggiori colossi del web tra cui Facebook, Google e TikTok, ma non l’uccellino targato Elon Musk, che ha abbandonato la piattaforma a fine maggio.
“Riteniamo che abbia commesso un errore, ha raccolto su di sé molta attenzione e ora vi sarà un attento e vigoroso scrutinio del rispetto da parte sua delle norme europee”, ha precisato Jourová in un incontro con la stampa in cui ha fatto il punto delle conversazioni in corso con gli attori principali del settore in vista della piena attuazione del Digital Services Act (Dsa). “Se Twitter vuole operare e fare soldi nel mercato europeo deve rispettare le nostre regole e prendere le misure appropriate”, ha aggiunto.
E questo vuol dire fare di più contro la disinformazione, specie ora che l’Europa “sta sostenendo la lotta dell’Ucraina” e il fianco orientale “è costantemente sotto attacco” dei troll del Cremlino. Peraltro non è che Twitter stia andando alla grande neppure nella liberale America, dove “sono in vigore le leggi della California”, per citare sempre Jourová. I ricavi pubblicitari negli Stati Uniti nel periodo che va dal primo aprile alla prima settimana di maggio sono stati di 88 milioni di dollari, in calo del 59% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Una performance – nota il New York Times citando alcuni documenti – che non è destinata a migliorare a breve. Il personale addetto alla pubblicità è infatti preoccupato dalla possibilità che l’aumentare dei discorsi di odio e della pornografia sul social pesi sulle strategie d’investimento degli inserzionisti. Insomma, la ricetta europea farebbe bene anche dal punto di vista degli affari, al di là delle regolamentazioni bacchettone (stando agli standard del patron di Tesla). Il vero nodo, per l’Ue, è stabilire un dialogo proficuo con tutti gli stakeholder per affrontare le sfide del presente – la Russia, che vuole indebolire le democrazie e compromettere i processi elettorali – ma anche del futuro. E qui l’accento è sull’intelligenza artificiale.
Il Codice (che ha una natura volontaria) non la contempla e così ha chiesto di aprire una sezione dedicata. Le potenzialità della tecnologia sono immense ma anche potenzialmente negative sul fronte della diffusione di contenuti “maligni e nocivi”.
L’Ue vorrebbe vedere allora “un’etichettatura” che marchi chiaramente “testi, foto e video” prodotti dall’AI in modo che l’utente, “distratto” da i casi suoi, sappia che sta interagendo con un robot. “La libertà di parola non si applica alle macchine”, sentenzia la vicepresidente. Con un’aforisma che pare tratto dalle leggi di Asimov.
Fonte Ansa.it