Monicelli 10 anni dopo ci manca la sua intelligenza

(ANSA) – ROMA, NOV 28 – Quanto sono lunghi cinque piani se a
quella caduta è affidata la scelta di mettere fine alla propria
vita? 10 anni fa, il 29 novembre 2010 ci ha lasciati Mario
Monicelli di professione regista, di vocazione libero pensatore.
    Ricoverato in una clinica romana e consapevole di non avere
speranze, scelse di porre fine alla sua vita gettandosi dalla
finestra della stanza, al quinto piano. Arguto, solitario,
generoso, tagliente, Mario Monicelli ci ha privato troppo presto
di un’intelligenza vivida che, come pochi altri, ha fotografato
l’Italia nelle sue mille trasformazioni dal dopoguerra ad appena
ieri. Nato a Roma il 16 maggio 1915, ha avuto una bella e lunga
vita accompagnata da tre figli e due matrimoni che, nel caso di
Chiara Rapaccini, è stato un sodalizio di complicità durato fino
alla fine. La sua carriera è ricca di soddisfazioni nonostante
abbia bussato sei volte invano alla porta dell’Oscar. Ma con “La
grande guerra” ha vinto il Leone d’oro nel 1959 e Venezia gliene
ha consegnato un secondo, alla carriera, nel 1991. Insieme a
Dino Risi e Luigi Comencini è il maestro indiscusso della
commedia all’italiana, ma rispetto ai colleghi il suo cinema
dimostra una maggiore libertà espressiva e una precisione nella
critica sociale che ne ha fatto un osservatore implacabile di
vizi e virtù del Belpaese. Con i suoi film si potrebbe disegnare
un profilo dei momenti salienti della nostra storia, dalla
grettezza papalina del primo ‘800 (“Il marchese del Grillo”)
alle lotte operaie di fine secolo (“I compagni”), dalla prima
guerra mondiale (“La grande guerra”) alla povertà del dopoguerra
(“Totò cerca casa” o “Guardie e ladri”), dalla guerra d’Africa
(“Le rose del deserto”) ai tentativi di golpe degli anni ’60
(“Vogliamo i colonnelli”), fino alla rivoluzione sessuale degli
anni ’60 (“La ragazza con la pistola”), agli anni di piombo (“Un
borghese piccolo piccolo”) e al femminismo (“Speriamo che sia
femmina”). Ma oltre al successo del Leone d’oro la sua fortuna
critica è legata a ben tre memorabili saghe da lui avviate: “I
soliti ignoti”, “L’armata Brancaleone”, “Amici miei”. (ANSA).
   

Fonte Ansa.it

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