Perché fare mining di criptovalute è dannoso per l’ambiente

Il valore delle criptovalute ha subìto un’impennata tra febbraio e marzo 2021 dopo l’annuncio di Tesla dell’apertura al pagamento in Bitcoin. Una rapida ascesa del valore che ha portato a un altrettanto repentino crollo, quando appena qualche mese dopo è arrivato lo stop ai pagamenti in criptovaluta da Elon Musk.

Dietro questa decisione che ha provocato una forte oscillazione del mercato della moneta virtuale c’è però una scelta di sostenibilità per l’ambiente da parte di Musk.

Il mining di criptovalute, cioè l’estrazione e la creazione di moneta virtuale, richiede l’utilizzo di un hardware potente che, a sua volta, consuma una quantità di energia elettrica elevata. Proprio la grande richiesta di elettricità rende l’estrazione di Bitcoin dannosa per l’ambiente, poiché la produzione di energia per aumentare e sostenere il mining deve ricorrere a combustibili fossili come il carbone o all’energia nucleare, incrementando le emissioni di anidride carbonica che producono inqui.

Cos’è il mining di criptovaluta

Per poter comprendere quale sia l’impatto ambientale del mining di criptovaluta è necessario comprendere il funzionamento e i processi. Il denaro fisico viene prodotto, fatto circolare, distrutto e ricreato. Quando si effettuano transazioni con una carta di pagamento elettronica, come una carta di credito, il venditore chiederà alla banca la somma di denaro, la banca verificherà che ci siano i fondi nel conto del compratore e poi aggiornerà il proprio registro centralizzato. Si tratta di una transazione a tutti gli effetti digitale, senza scambio di denaro, ma che si basa su un pool limitato di risorse.

Nel caso della moneta virtuale, invece, il registro noto col nome di blockchain è di tipo decentralizzato.

Questo significa che nessun istituto controlla effettivamente quanti fondi abbia un utente, ma i diversi utenti che partecipano a una determinata criptovaluta condividono quelle informazioni tra loro. Proprio come il denaro fisico, la criptovaluta ha un pool di risorse limitate. Nel 2011, i Bitcoin esistenti erano circa 5,2 milioni mentre ad oggi nel 2021 sono stati estratti oltre 18 milioni di Bitcoin, in un sistema di moneta virtuale che consente di estrarne al massimo 21 milioni. Arrivati a quella somma, non ci saranno nuovi Bitcoin da estrarre e per questo motivo tutti si concentrano a produrne.

Mining di criptovaluta: come funziona

mining criptovaluteIl processo di creazione di moneta virtuale è chiamato mining, cioè estrazione: proprio come in una miniera, gli utenti lanciano sui propri computer dei programmi che provvedono a elaborare complesse equazioni matematiche per estrarre criptovaluta dal sistema. Chiunque voglia estrarre moneta virtuale, come ad esempio Bitcoin ed Etherium 1.0, potrà configurare sui propri PC, smartphone o computer da mining, il software per l’estrazione.

Fare mining significa lanciare questi software che dovranno elaborare complesse equazioni più velocemente degli altri concorrenti che cercano di estrarre criptovaluta, così da poter creare prima degli altri.

Per questo motivo, utilizzare un hardware più potente che abbia una velocità di elaborazione dei processi maggiore permette di aumentare la possibilità di creare criptovaluta. Proprio come comprare più biglietti alla lotteria aumenta la probabilità di vincerne il premio. Allo stesso tempo, però, aumenta il consumo di energia elettrica e più utenti partecipano al mining, maggiore sarà l’elettricità necessaria, che verrà fornita da fonti combustibili o nucleari, aumentano anche l’inquinamento e l’impatto sull’ambiente.

Mining di criptovaluta: l’impatto ambientale

mining criptovaluteIl Cambridge Center for Alternative Finance (CCAF) ha sviluppato un indice che permette di misurare la quantità di energia elettrica che viene impiegata nel mining di criptovaluta a livello globale, chiamato Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index. Analizzando la stima di energia richiesta, si è così scoperto che questa attività ogni anni consuma tanta energia quanto un Paese di media grandezza.

In media, infatti, il mining di Bitcoin consuma 112,57 Terawattora l’anno, una quantità di energia maggiore a Paesi come gli Emirati Arabi Uniti o i Paesi Bassi.

L’energia viene attinta da fonti non rinnovabili, come ad esempio i combustibili fossili e questo comporta che l’estrazione di criptovaluta produca emissioni di anidride carbonica tra le 22 e le 22,9 tonnellate l’anno. La stessa quantità di emissioni prodotte da uno Stato come la Giordania o lo Sri Lanka. Questi dati lasciano trasparire quanto il mining di criptovalute sia dannoso per l’ambiente e come un suo aumento spropositato possa contribuire in modo significativo a produrre emissioni inquinanti.

Da qui, la decisione di Musk di fermare i pagamenti in Bitcoin per Tesla e la necessità di trovare delle soluzioni di mining che siano sostenibili per l’ambiente.

Le proposte per la modifica dei processi di mining sono già in atto e presto si vedrà un cambiamento. Ad esempio, Etherium ha annunciato che cambierà i processi di estrazione di moneta virtuale entro il 2022, adottando un modello che eliminerà la competizione tra gli utenti che partecipano al mining: invece di risolvere equazioni complesse in un tutti contro tutti, si procederà all’estrazione attraverso investimenti delle proprie monete nel sistema, come in una lotteria. In questo modo, non sarà necessario usare un hardware più potente e si limiterà il consumo di energia, riducendo l’impatto dannoso sull’ambiente.

Fonte Fastweb.it

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