Di risoluzione nativa si è parlato tantissimo negli anni specie in ambito gaming, mentre con lo scorrere del tempo il concetto sembra aver perso progressivamente importanza, rimanendo attuale soprattutto quando si valuta l’acquisto di un proiettore.
Nonostante l’evoluzione tecnologica ci abbia permesso di acquistare ottime Smart TV (anche OLED) a prezzi via via decrescenti, i videoproiettori hanno mantenuto prezzi mediamente più elevati. Per cui le valutazioni riguardo la risoluzione nativa sono rimaste d’attualità principalmente nella valutazione di un videoproiettore.
Ma è davvero così? E cos’è la risoluzione nativa, e quanto è rimasta centrale, negli anni, nella definizione di un’esperienza da gaming o un film o, ancora, di una serie TV in un supporto tradizionale quale, ad esempio, un televisore?
Cosa si intende per risoluzione nativa
Per capire cosa si intende per risoluzione nativa, e di conseguenza cos’è, bisogna immaginare un qualsiasi schermo moderno – uno schermo piatto, per intenderci, sia esso OLED o LCD – come composto da una griglia fittissima, un insieme di righe e colonne tanto vicine tra loro da essere invisibili a occhio nudo.
La griglia non è che l’insieme dei pixel, ossia la risoluzione, un concetto familiare da tutti di questi tempi. Più è alto il numero di righe e colonne, maggiore è la risoluzione e dunque il numero dei pixel fisicamente presenti in uno schermo.
La risoluzione nativa di un display è pari al numero dei pixel presenti sullo stesso, quindi non variabile a seconda del nostro volere o dalle immagini che “diamo in pasto” allo schermo.
Di conseguenza uno schermo con risoluzione nativa 4K possiede fisicamente un numero di pixel pari a quelli della risoluzione 4K (3.840 pixel in altezza e 2.160 pixel in larghezza).
Quando il numero dei pixel di un contenuto non coincide con la risoluzione nativa dello schermo, allora le immagini vanno riadattate con un processo che si chiama upscaling, quando si proietta una sorgente a risoluzione inferiore su uno schermo a risoluzione nativa superiore, o downscaling, quando si fa l’inverso.
In entrambi i casi lo schermo o la sorgente svolgono tale compito in automatico e in maniera quasi sempre impercettibile
Un qualsiasi pannello con risoluzione nativa 4K contiene quattro volte i pixel di uno in 1080p o Full HD (da qui deriva la nomenclatura), dunque per adattare un fotogramma in Full HD si usano quattro pixel dello schermo in 4K per riprodurre un pixel in Full HD.
Questo processo di upscaling, funziona abbastanza bene a patto che le proporzioni tra altezza e larghezza di fonte (il contenuto) e destinazione (lo schermo) siano identiche: diversamente iniziano i problemi perché i pixel mancanti dalla fonte e che devono essere riprodotti dal dispositivo di destinazione devono essere, stimati, “creati”, di fatto, dal nulla generando talvolta qualche aberrazione. Insomma, in questa circostanza il risultato non è garantito, e non è affatto raro ottenere un’esperienza di qualità discutibile.
Risoluzione nativa e gaming
In ambito gaming l’eventuale discrepanza tra la risoluzione nativa del TV, magari di alta qualità e pure OLED, e quella del contenuto – il gioco – genera da tempo delle perplessità tra gli appassionati di videogiochi ad alta risoluzione.
A lungo si è ritenuta vincolante l’aderenza perfetta tra la risoluzione nativa del contenuto e la risoluzione nativa del supporto di destinazione, fosse un monitor da gaming o una Smart TV OLED
Nel caso di videogiochi particolarmente evoluti e quindi esigenti, però, il rendering ad alta risoluzione comporta un carico di lavoro importante per la scheda video (GPU), che impiega più tempo a elaborare il singolo frame (la singola immagine che compone il flusso di gioco) perché banalmente contiene un numero maggiore di pixel.
Se il carico di lavoro dovesse essere eccessivo per le prestazioni della GPU allora il videogioco risulterà poco fluido e di conseguenza poco giocabile.
Per avere la migliore esperienza gaming possibile anche in questo scenario bisogna adattare la risoluzione verso il basso: se l’hardware non consentisse un’esperienza di gioco fluida in 4K, scalando il tutto in Full HD o 1080p (il passaggio mantiene le proporzioni inalterate) si perde leggermente in nitidezza ma si guadagna tanto in fluidità. Poi sarà il processore interno allo schermo a fare l’upscaling per mostrare sullo schermo 4K il contenuto in Full HD.
Se ciò non è possibile, è consigliabile regolare dalle impostazioni del gioco il livello dei dettagli: si cede qualcosa in termini di precisione degli scenari, ma si guadagna in termini di fruibilità del gioco.
La risoluzione nativa è ancora rilevante?
Diversi anni fa la concordanza tra la risoluzione della sorgente e quella nativa dello schermo era un requisito necessario per ottenere un’esperienza soddisfacente in termini qualitativi, ma da qualche tempo la parità tra le due non è più un vincolo stringente.
La tecnologia ha fatto passi da gigante sui contenuti comuni come film e serie TV, e a meno di non avvicinarsi allo schermo con la lente d’ingrandimento il problema non si pone.
In ambito gaming invece il merito è da attribuire agli sviluppatori dei giochi, ognuno dei quali spesso adotta tecniche differenti ma che, allo stato attuale, si rivelano tutte efficaci pressoché in egual misura.
Lo sviluppatore del gioco ha il controllo totale sul ridimensionamento delle immagini, quindi può governare il processo regolando i parametri affinché si ottenga l’effetto da lui desiderato, che sia cioè il più coerente possibile con l’esperienza gaming cercata e con la natura del gioco stesso.
Ma a fare davvero la differenza è il fatto che in passato la risoluzione nativa aveva un ruolo di primo piano nella definizione dell’esperienza di visione o di gaming, mentre oggi i parametri che compongono l’esperienza finale sono molteplici e tutti ugualmente determinanti.
In altre parole, oggi la riproduzione di contenuti a risoluzione nativa ha perso importanza, perché ne hanno guadagnata gli aspetti – una volta di contorno – che nel complesso definiscono la qualità dell’immagine e dell’esperienza stessa, come colore, contrasto, fluidità dell’azione, qualità della luce, scelte del regista o dello sviluppatore, complessità delle texture, eccetera. Contare i pixel ha perso di senso.
Fonte Fastweb.it