Smart working e sostenibilità

Il mondo del lavoro sta cambiando e le restrizioni dettate dalla pandemia da Covid-19 hanno spinto su un incremento dello smart working. Niente più auto per arrivare a lavoro ha un impatto ambientale da tenere in considerazione: significa una importante diminuzione delle emissioni di carbonio e inquinanti. Lavorare da remoto, però, ha un suo impatto ambientale ancora da valutare. A tentare la stima dell’impatto ambientale e della sostenibilità della modalità di lavoro in smart working sono i ricercatori della Purdue University, di Yale e dell’Massachussetts Institute of Technology (MIT), che hanno pubblicato i loro risultati in un articolo sulla rivista scientifica Resources, Conservation and Recycling.

I dati a disposizione dei ricercatori sono ancora pochi, ma prendono in considerazione anche le emissioni di carbonio che dipendono dalla connettività richiesta per supportare lo smart working, e in particolare sulle infrastrutture e sulle tecnologie utilizzate da ogni lavoratore in casa. Ad esempio, anche solo tenere la telecamera spenta durante una videoconferenza può ridurre le emissioni, ma ci sono altri parametri da prendere in considerazione, come le fonti di energia, il costo dell’acqua, necessario per far funzionare i sistemi di raffreddamento dei data center per cui aumenta la mole di lavoro, e il costo del suolo.

Smart working: perché valutare l’impatto ambientale

I ricercatori dei tre istituti statunitensi hanno cercato di analizzare i costi in termini di sostenibilità ambientale dell’infrastruttura di Internet, che è stata soggetta a un uso massiccio con il passaggio improvviso allo smart working durante i lockdown per la pandemia da Covid-19. L’obiettivo è comprendere le dinamiche per la costruzione di un mondo digitale che sia sostenibile, valutando nel dettaglio anche l’impatto ambientale di Internet e delle nuove abitudini lavorative, sia individuali che collettive.

Il primo passo è stato individuare alcuni dei parametri di cui tenere conto, come le emissioni di carbonio, le fonti di energia, il costo del suolo necessario a produrre un prodotto e anche dell’acqua, dato che aumentare l’utenza sull’infrastruttura di Internet implica anche un aumento dell’impatto sui data center, e quindi sui sistemi di raffreddamento dell’elettronica e dei server.

Kaveh Madani, ricercatore della Yale University, spiega che la stima su scala globale non è facile, perché bisogna fare molte ipotesi e i dati necessari sono mancanti, soprattutto per la mancanza di trasparenza nel settore. Il risultato dello studio è comunque un buon inizio per iniziare a fare stime con i dati ad oggi disponibili e queste sono le prime osservazioni da cui partire per le valutazioni future.

Smart working e sostenibilità: le scoperte dello studio

smart working ambienteLo studio ha scoperto che un’ora di streaming video HD produce fino a 440 grammi di emissione di anidride carbonica, mentre per YouTube si arriva a 1000 grammi e per una videoconferenza con programmi come Zoom a 160 grammi. Queste differenze dipendono evidentemente dalla diversa qualità di riproduzione dei video in funzione delle diverse app.

Si tratta di emissioni che, confrontate con quelle di un’auto moderna, appaiono irrisorie, dato che in media quest’ultima produce 8887 grammi di anidride carbonica per gallone di gas. Questo significa che spostarsi di 30 chilometri per raggiungere il luogo di una riunione produce sicuramente un numero molto maggiore di emissioni che accendere la telecamera per una videoconferenza. L’aumento del consumo digitale quindi non è di per sé negativo, ma produrrà comunque un impatto ambientale per via delle necessità di data center più grandi, infrastrutture di trasmissione e anche l’eventuale sostituzione dei dispositivi elettronici.

Smart working: capire l’impatto ambientale per scelte consapevoli

smart working ambienteConoscere l’impatto ambientale dello smart working è quindi fondamentale, secondo i ricercatori, per consentire ai lavoratori di fare scelte consapevoli sulla sostenibilità ambientale. Ad esempio, lasciare una videocamera spenta durante un meeting in cui non è necessario usarla, comporta una riduzione delle emissioni inquinanti. Stesso discorso vale per la scelta di abbassare la qualità dello streaming da HD a SD, che consentirà di far risparmiare quasi il 90% dell’energia utilizzata per la trasmissione.

Persino il movimento del pollice per il doomscrollling, l’abitudine di consultare e scrollare le notizie che si è intensificata ai tempi della quarantena da lockdown, ha un suo risvolto ecologico: aumenta il lavoro dei data center e quindi l’energia spesa per i sistemi di raffreddamento. Ovviamente non è solo un’analisi preliminare in attesa di ottenere maggiori dati, che saranno raccolti via via che le abitudini lavorative cambiano, per progettare infrastrutture di Internet che siano più efficienti a livello energetico e orientare le persone verso un consumo digitale consapevole e sostenibile.

Fonte Fastweb.it

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