Il gap della spesa sanitaria pro
capite con la media dei Paesi europei dell’area Ocse è di 829
euro, e per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di quasi 48,8
miliardi di euro. Questo dato è in linea con l’entità del
definanziamento pubblico per la sanità. A evidenziarlo è il
sesto rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario
nazionale presentato oggi a Roma, che parla di un Ssn ormai al
capolinea.
Il fabbisogno sanitario nazionale dal 2010 al 2023 è
aumentato complessivamente di 23,3 miliardi, in media 1,94
miliardi per anno mentre tutti i Governi che si sono succeduti
negli ultimi 15 anni hanno tagliato o non investito
adeguatamente in sanità. Dal 2010-2019 è stata la stagione dei
tagli: alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37
miliardi di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza
di tagli previsti da varie manovre finalizzate al risanamento
della finanza pubblica; oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019,
in conseguenza del definanziamento, che ha assegnato meno
risorse al Sssn rispetto ai livelli programmati.
Dal 2020-2022 c’è stata la stagione della pandemia: il Fondo
sanitario è aumentato di 11,2 miliardi, crescendo in media del
3,4% annuo. Tuttavia, questo è stato di fatto assorbito dai
costi della pandemia Covid-19, e non ha consentito rafforzamenti
strutturali del Ssn ed è stato insufficiente a tenere in ordine
i bilanci delle Regioni.
Per il periodo 2023-2026, infine, la Nota di Aggiornamento
del Def 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto
spesa sanitaria/PIL precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024
e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti,
nel triennio 2024-2026 si stima un incremento della spesa
sanitaria di soli 4.238 milioni (+1,1%).
La conseguenza, spiega il presidente Gimbe Nino
Cartabellotta, sono “interminabili tempi di attesa, affollamento
dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un
pediatra vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali,
aumento della spesa privata sino alla rinuncia alle cure”.
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Fonte Ansa.it