La guerra in Israele al momento non
ha un impatto eccessivo sul mercato dell’energia, ma potrebbe
essere “una scusa” per le compagnie petrolifere per arrestare i
cali nei prezzi della benzina alla pompa. Il presidente di
Nomisma Energia, Davide Tabarelli, spiega all’ANSA che al
momento i prezzi del petrolio sono in rialzo di soli 3 dollari
al barile, dopo essere calati di 10 dollari nell’ultima
settimana.
Se però la guerra fosse lunga e allargata al golfo Persico “non c’è fine al possibile rialzo” dei prezzi dell’energia,
secondo Tabarelli. Le ipotesi estreme di 150 dollari al barile
di greggio e di 2,5 euro al litro di benzina sarebbero, in
questo caso, possibilità “ancora molto improbabili ma non
impossibili”.
A breve termine, nei prossimi giorni, era previsto
un’ulteriore discesa del prezzo della benzina alla pompa almeno
di 3-4 centesimi al litro, “vediamo domani se continuerà”, dice
il professore dell’Università Alma Mater di Bologna, che
immagina che le compagnie potrebbero arrestare i cali, anche per
evitare un successivo rimbalzo verso l’alto.
La situazione al momento viene definita dal presidente di Ne “relatavamente tranquilla”, pur restando “difficile”. Un
elemento di “allarme” in particolare è la vicinanza ad Hamas
dell’Algeria che è il nostro primo fornitore di gas, per quasi
il 40% dei nostri consumi, dopo che gli abbiamo chiesto aiuto
per affrancarci dalla dipendenza dalla Russia. “Questo la dice
lunga su come siamo incastrati”, osserva Tabarelli secondo cui è
un “delitto economico” non rilanciare la produzione nazionale di
petrolio e gas.
“L’instabilità e le debolezze di questi Paesi – è il
paradosso sottolineato il presidente di Ne – sono anche dovute
al fatto che esportano tanto gas e petrolio che noi paghiamo
caro e incassano soldi che poi vanno a rafforzare le loro
autocrazie e magari anche a finanziare forze politiche che poi
hanno esplosioni di violenza in un’area da cui dipendiamo
molto”.
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Fonte Ansa.it