(ANSA) – VENEZIA, 02 SET – Mai come nel caso di THE POWER OF
THE DOG di Jane Campion, in corsa per il Leone d’oro a Venezia,
la lunghezza, 125 minuti, ha una sua legittima ragione di
essere. Il film con Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse
Plemons e Kodi Smit-McPhee ha un suo andamento lento, tossico,
perché quello che si sta rivelando della storia ha i suoi giusti
tempi ed è solo uno dei possibili sviluppi suggeriti dalla
trama. Film Netflix, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage
(edito in Italia da Neri Pozza), ci porta in Montana, nel 1920
in un post-western. Qui l’introverso allevatore Phil Burbank
(Benedict Cumberbatch) incute paura e timore reverenziale a
tutti quelli che lo circondano. Quando il mite e più colto fratello George (il grandissimo
Jesse Plemons) porta a casa la nuova moglie, la vedova Rose
(Kirsten Dunst), con il figlio di lei, Phil non ci sta ad
accettare quelli che considera solo degli estranei e li comincia
a tormentare in una guerra senza esclusione di colpi. Ma si può
dire che se questa è la trama di minima, quello che succede dopo
è legato a smottamenti emotivi dei personaggi tanto sorprendenti
quanto impossibili da raccontare senza fare spoiler. Ma una cosa
è certa, che il figlio di Rose, Peter (il longilineo attore
australiano Kodi Smit-McPhee), che compare molto in sordina solo
a metà film, alla fine sarà un vero e proprio protagonista.
“Sono una persona creativa e non ho fatto una percentuale dei
generi del libro di Savage – ha detto al Lido la Campion a chi
le chiedeva come si fosse trovata a girare un film altamente
maschile -. Ho sempre creduto in questo libro è non sono
riuscito a dimenticarlo anche quando l’avevo finito. Ti entra
nella psiche”. (ANSA).
Fonte Ansa.it