Il 2021 è l’anno in cui è ufficialmente iniziato il fenomeno del turismo spaziale: giorno 11 luglio, infatti, l’imprenditore britannico Sir Richard Branson (fondatore di Virgin Group) è andato in orbita a 80 chilometri da terra con la VSS Unity di Virgin Galactic, mentre solo nove giorni dopo la navicella New Shepard di Blue Origin ha portato in orbita il fondatore di Amazon Jeff Bezos ad oltre 100 chilometri di distanza dal pianeta.
Già da qualche anno i due grandi gruppi si sfidano in cerca di primati in questa nuova corsa allo spazio, ma con metodi e per fini ben diversi rispetto alla prima corsa allo spazio, quella tra USA e URSS nel secondo dopoguerra. L’idea, questa volta, non è quella di imporre la propria supremazia tecnologica, militare ed economica sul mondo ma quella di aprire per primi un nuovo business: i viaggi in orbita, prima, su altri pianeti, dopo.
Tra i due litiganti spera di godere un terzo miliardario col pallino per lo spazio: Elon Musk, che con la sua SpaceX offrirà ad un ristretto numero di selezionati clienti la possibilità di restare in orbita 5 giorni nella capsula Crew Dragon, entro la fine del 2021.
C’è già la fila di miliardari pronti a pagare milioni di dollari per comprare un biglietto, ma qualcuno ha iniziato a calcolare l’impatto ambientale di questa nascente industria sulla Terra e subito fuori di essa
Quanto inquina un volo spaziale
Una prima stima dell’impatto ambientale dei voli turistici nello spazio l’ha calcolata Eloise Marais, Associate Professor in Geografia Fisica della University College London. I numeri non lasciano ben sperare: un volo nello spazio emette 100 volte più CO2 in atmosfera rispetto ad un normale volo aereo di linea, che già di CO2 ne emette parecchia.
Questa CO2 viene intrappolata negli strati dell’atmosfera in cui viene emessa, cioè dove non c’è alcun albero o altro vegetale in grado di catturarla. L’effetto sul riscaldamento globale è anche superiore e molto più duraturo rispetto all’emissione di CO2 sulla superficie terrestre.
Un ulteriore problema dei voli verso lo spazio è il combustibile usato nei motori dei razzi: circa due terzi di esso viene disperso nella stratosfera (12-50 km dalla superficie terrestre) o nella mesosfera (50-85 km dalla superficie terrestre) e resta lì per non meno di due anni. Le elevatissime temperature raggiunte durante il lancio e il rientro dei razzi convertono l’azoto presente in abbondanza nell’aria in ossidi di azoto reattivi.
Nella stratosfera, gli ossidi di azoto e le sostanze chimiche formate dalla degradazione del vapore acqueo convertono l’ozono in ossigeno, impoverendo lo strato di ozono. L’effetto è esattamente lo stesso di quello del famoso “buco dell’ozono“, del quale speravamo tutti di non sentir mai più parlare: nei punti in cui avvengono queste reazioni chimiche c’è uno scudo molto più sottile che ci protegge dai pericolosi raggi UV-C emessi dal sole. Il vapore acqueo, inoltre, produce nuvole stratosferiche che accelerano ulteriormente questa reazione chimica, peggiorando le cose.
Chiaramente tutto questo è poco preoccupante se pensiamo al singolo lancio o a pochi viaggi spaziali, ma le cose cambiano molto se pensiamo ad una intera industria del turismo spaziale con “voli di linea” frequenti: Virgin Galactic, ad esempio, ha già dichiarato che il suo obiettivo è quello di effettuare 400 voli spaziali turistici ogni anno. Va poi considerato che questi voli si andranno ad aggiungere a quelli non turistici, effettuati dalle agenzie spaziali governative di tutte le grandi economie del mondo, dalla Cina agli USA, dalla Russia alla UE.
Al momento gli scienziati non hanno dati sufficienti e capacità di calcolo dedicata per stabilire con buona approssimazione quanto grande sarà il danno arrecato dal turismo spaziale al clima e all’ambiente, ma sono certi che questo danno ci sarà.
Turismo spaziale: la questione rifiuti
C’è poi una seconda questione da affrontare: quella dei rifiuti spaziali (che altro non sono, nella maggior parte dei casi, se non rifiuti elettronici). Ogni razzo e navicella che parte dalla Terra in direzione dello spazio lascia cadere alcune sue parti, che cadono verso la superficie o restano in orbita accumulandosi nel tempo. I rifiuti spaziali sono un problema già oggi, ma lo saranno ancor di più quando i voli aumenteranno.
Lo spazio più vicino al nostro pianeta, quindi, rischia di diventare una vera e propria discarica di materiale pericoloso: per le stesse navicelle spaziali, che potrebbero colpire un detrito con effetti catastrofici, per gli abitanti della Terra, perché qualche detrito potrebbe prima o poi precipitare, ma anche per lo spazio stesso perché al di fuori della Terra non c’è nessun organismo o processo chimico o fisico in grado di degradare tale materiale.
La spazzatura spaziale, quindi, o viene colpita da un veicoli spaziale, o ricade sulla Terra, o resta lì praticamente per sempre. Ancora una volta, è questione di numeri: con pochi voli ogni anno il problema c’è, ma non si vede, ma con centinaia di voli il problema ci sarà e nel giro di pochi anni si vedrà pure.
Fonte Fastweb.it