Equilibrio tra vita privata e lavoro è uno degli elementi maggiormente ricercati dalle persone negli ultimi anni: l’obiettivo è riuscire a far convivere in modo armonico gli ambiti legati al proprio impiego con quelli dedicati agli interessi personali e familiari.
Il work life balance è un concetto divenuto di strettissima attualità soprattutto nel recente periodo storico, in cui lo sviluppo tecnologico ha reso sempre più sottile ed indefinito il confine tra sfera privata e professionale, sia per quanto riguarda i tempi sia per gli spazi fisici del lavoro.
Secondo un’indagine del febbraio 2022, promossa da Aidp (Associazione per la Direzione del Personale) su un campione di circa 600 aziende italiane, negli ultimi mesi il 75% delle aziende ha dovuto affrontare un aumento di dimissioni volontarie da parte dei dipendenti. Si tratta di un vero e proprio boom che ha visto come protagonisti soprattutto i più giovani e le fascia di età compresa tra i 26 e i 35 anni.
I settori che maggiormente rimangono scoperti sono: Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%).
Fonte: dirittodellinformazione.it
Perché si decide di cambiare lavoro
La motivazione principale nel lasciare il lavoro non riguarda solo carriera o denaro, ma anche (e in alcuni casi soprattutto) la possibilità di mantenere un work life balance adeguato alle nuove specifiche esigenze indotte ed accelerate dai cambiamenti storico-sanitari intercorsi dal 2020.
I dipendenti si sentono oggi molto più legittimati ad avanzare delle richieste di maggiore flessibilità ed autonomia: tutti noi sentiamo un maggior bisogno di organizzare la nostra routine lavorativa con più autonomia, senza per questo tralasciare i compiti professionali.
D’altro canto le aziende che da anni hanno adottato lo smart working, in modo strutturato e con l’utilizzo delle tecnologie adeguate, hanno potuto riscontrare dei benefici nella responsabilizzazione dei dipendenti e nella produttività.
L’attenzione ai bisogni e al recupero dei valori
A fronte del periodo di pandemia intercorso e del momento di guerra che stiamo vivendo, le persone hanno iniziato a riflettere maggiormente sui bisogni primari, quelli di salute e sicurezza.
Facendo riferimento alla “gerarchia dei bisogni” indicata nella piramide di Maslow, proposta nel 1954 dallo psicologo Abraham Maslow, alla base sono posizionati i bisogni essenziali alla sopravvivenza e salendo, verso il vertice, si trovano via via i bisogni più immateriali ed ideologici.
Dai bisogni fisiologici, connessi alla sopravvivenza fisica dell’individuo si passa a quelli di sicurezza, quali protezione, assenza di ansie e preoccupazioni, tranquillità. Successivamente subentrano i bisogni di appartenenza (considerazione ed inclusione in un gruppo e nella società); salendo si ricerca la stima (riconoscimento e approvazione) fino all’autorealizzazione (realizzazione della propria identità, in base alle aspettative ed alle proprie potenzialità).
Con il termine sicurezza non ci si riferisce soltanto ad una condizione fisica ma anche ad ambiti emotivi, familiari e sociali. Si aggiungono, a tal proposito, le legittime esigenze di appartenenza, di autostima ed autorealizzazione.
Alcuni dei motivi che spingono le persone a dare le dimissioni sono collegati anche alle situazioni di stress, nelle quali non ci si sente al sicuro dal punto di vista emotivo oppure in cui non si riesce a trovare un equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata.
E’ un po’ come se la pandemia avesse abbassato la soglia di sopportazione rispetto una vita professionale che non rende felici e che non appaga. Le persone si sono smosse, dall’interno, nelle loro emozioni, si sono guardate dentro e si sono poste delle domande.
Il mio lavoro mi permette di crescere, mi valorizza, mi rende felice?
Le risposte che emergono spesso diventano la leva per prendere delle decisioni di cambiamento importanti e radicali.
Spesso gli aumenti di stipendio non bastano a mantenere un lavoratore nel suo ruolo in azienda. Bisogna anche creare connessioni, dare valore ai rapporti interpersonali, stimolare i processi di interazione con i colleghi e con i responsabili: meno transazioni, burocrazie e formalismi e più relazioni, spontaneità e fiducia.
Le nuove condizioni indotte dallo smart working hanno posto ancora di più l’attenzione sui temi di ecosostenibilità, sul risparmio energetico e su quanto sia possibile sfruttare i nuovi stili di vita per tenere conto degli impatti ambientali.
Modelli di riferimento per il futuro
Servono nuovi paradigmi nelle relazioni tra le imprese e dipendenti: entrambi dovrebbero adattarsi alla luce dei cambiamenti che intercorrono e dei nuovi bisogni emergenti; predisporsi ad essere sempre in movimento nell’adeguarsi a realtà circostanti che continuano a cambiare repentinamente; trovare il giusto bilanciamento tra esigenze personali e lavorative; modulare l’esigenza del raggiungimento dei risultati aziendali con i bisogni e le aspirazioni delle persone.
L’ormai noto work life balance non ha una unica e consolidata accezione: muta e si evolve in funzione del contesto in cui si applica.
Scordiamoci il modello di lavoro aziendale “anni 80”, che purtroppo si riscontra ancora in molte realtà aziendali, anche multinazionali, in cui permane la corsa al cartellino, in cui lo stare seduto fisso in scrivania davanti al PC è il parametro principale per dedurre se si è produttivi ed efficaci.
Il rischio delle aziende che non stanno ai tempi è quello di perdere dei talenti o di demotivare i dipendenti che inevitabilmente implodono in una condizione di appiattimento e scarso rendimento.
Le aziende illuminate, innovative ed evolute dovrebbero adeguare continuamente il mindset, l’organizzazione e la fisionomia.
Integrare in modo strutturato la nuova modalità lavorativa “ibrida”: concedere ai dipendenti l’autonomia di scegliere dove, come e quando svolgere il loro lavoro, non per diminuire la produttività ma per ottimizzare impegno e rendimento.
Il management non può altresì tralasciare le esigenze legate alle job opportunities: garantire l’istituzione di corsi di formazione, promuovere la job rotation, agevolare percorsi di coaching ed integrare iniziative di welfare.
Un rapporto, in quanto tale, che sia professionale o personale, prevede uno scambio reciproco di responsabilità e compromessi ma anche e soprattutto di soddisfazione ed appagamento. Serve un giusto equilibrio tra le parti per agevolare un percorso proficuo, costruttivo e al tempo stesso che funga da stimolo per continuare a percorrere insieme la stessa strada.
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Fonte Fastweb.it