Una zanna di mammut in fondo all’oceano

L’oceano è uno scrigno di segreti e i suoi fondali sono ancora oggi il luogo più inesplorato del pianeta Terra. Ci si può trovare di tutto – a volte anche reperti inaspettati, che dovrebbero stare da tutt’altra parte. È successo a una spedizione di ricerca oceanografica organizzata dal Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI), che a novembre è riuscita a recuperare, dal fondo dell’oceano al largo delle coste della California, una zanna di mammut preservata alla perfezione, risalente a più di 100.000 anni fa, identificata sul fondale durante una spedizione del 2019. Il racconto dell’impresa si trova sul sito dell’MBARI.

Il nome del ricercatore che ha scoperto il reperto è Steven Haddock. Nel 2019, lui e il pilota Randy Prickett stavano esplorando il fondale oceanico a circa 300 km dalla costa californiana, utilizzando un veicolo comandato a distanza. Nel corso della missione Haddock adocchiò un oggetto inaspettato sul fondale, a 3 km di profondità: un tubo lungo circa tre metri e lievemente ricurvo, molto simile a una zanna.

La conferma. Al tempo i due provarono a prelevarlo ma riuscirono solo a staccarne un minuscolo frammento dalla punta; un’analisi del campione ha confermato i loro sospetti, e due anni dopo Haddock si è rimesso in mare insieme a un’intera squadra di esperti. Grazie al braccio meccanico del ROV sono riusciti a recuperare l’intera zanna e a riportarla in superficie.

Una volta estratto dall’acqua, il campione si è dimostrato preservato alla perfezione: merito della combinazione tra le basse temperature e l’alta pressione del fondale. I ricercatori sono persino riusciti a estrarre frammenti di DNA dal tessuto interno della zanna, in quello che loro stessi hanno definito “il nostro momento Jurassic Park“.

Non così raro. In attesa della pubblicazione dello studio, il team ha per adesso confermato che la zanna apparteneva a un mammut della Columbia (Mammuthus columbi) vissuto circa 100.000 anni fa, e che l’esemplare era femmina. Secondo i ricercatori, ritrovamenti del genere negli oceani non sono così rari come si potrebbe credere, ma le attività umane, per esempio le trivellazioni, rischiano di distruggerne un’enorme quantità senza che neanche ce ne rendiamo conto.

Fonte Focus.it

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