L’esplosione delle criptovalute ha portato tantissime persone a scoprire tutti i vantaggi della blockchain: un insieme di tecnologie capaci di cambiare per sempre il mondo delle transazioni finanziarie.
La blockchain presenta anche tantissime applicazioni che non hanno niente a che vedere col trading online. Per esempio, è coinvolta nella realizzazione di una nuova rete libera da gerarchie.
Non a caso, proprio la blockchain, assieme alle reti peer-to-peer e i software I2P, è alla base del cosiddetto Web3: un’idea di Internet all’insegna della decentralizzazione, dell’anonimato e della sicurezza.
Il Web3 non va confuso con il Web 3.0. Quest’ultimo rappresenta l’evoluzione dei precedenti Web 1.0 e Web 2.0 e mira alla creazione di contenuti semanticamente collegati tra loro.
Il Web 3.0 vuole migliorare la rete esistente, rendendola sempre più connessa, coinvolgente e interattiva. Il Web3 invece vuole invece reinventare Internet, cambiando profondamente i presupposti che, ad oggi, danno vita a pagine, siti e piattaforme.
Il Web3 può essere considerato una rivoluzione della rete, che potrebbe portare diversi vantaggi per l’utente. Allo stesso tempo, però, esistono dei fattori di rischio da tenere a mente: possibili problemi legati sia all’esperienza del singolo che al consumo energetico globale.
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0. Differenza tra Web3 e Web 3.0
Prima di entrare nel merito del Web3, occorre fare un piccolo passo indietro. Da anni si sente parlare di Web 3.0 e il rischio è chiaramente quello di fare confusione tra i due termini.
Si inizierà dunque col chiarire che Web3 e Web 3.0 sono due concetti ben distinti. Hanno storie differenti, teorizzatori differenti e, soprattutto, inseguono obiettivi piuttosto lontani tra loro.
Il Web 3.0 viene teorizzato a partire dal 2006, come diretta conseguenza dei precedenti Web 1.0 e Web 2.0. La dicitura Web 1.0 identifica i primi siti web in assoluto, caratterizzati da contenuti statici.
Nel Web 1.0 le pagine Internet potevano essere fruite dall’utente soltanto in maniera passiva: il visitatore non aveva dunque alcun tipo di possibilità di interazione con il contenuto.
Col Web 2.0 si è affermata una nuova idea di Internet dinamico, che permetteva agli utenti di partecipare attivamente alla creazione dei contenuti. Il periodo del Web 2.0 è stato quello degli “User Generated Content” (Contenuti Generati dagli Utenti), dei social, dei podcast, delle pagine di Wikipedia costantemente aggiornate.
Si arriva, così, al Web 3.0. L’idea è quella di una rete in cui le pagine e i contenuti saranno sempre più legati tra loro attraverso l’utilizzo di parole chiave.
Il Web 3.0, chiamato anche web semantico, fa riferimento a una rete in cui, anche grazie all’intelligenza artificiale, le persone interagiranno meglio e saranno iperconnesse.
Si propone di sfruttare le tecnologie e i paradigmi più differenti: uno su tutti l’intelligenza artificiale. L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare al cosiddetto “read-write-interact web”: una rete in cui ogni utente non si limiterà a leggere o scrivere sulle pagine, ma in cui sarà possibile interagire in modo molto più libero e spontaneo.
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1. Che cos’è il Web3
Il Web3 è un recente sviluppo del concetto di Internet. Una nuova idea di web totalmente decentralizzato, basato su protocolli inediti e, soprattutto, sulla tecnologia blockchain.
Secondo alcune teorie, il Web3 è l’attualizzazione del Web 3.0. Infatti, i due concetti sono collegati tra loro, ma hanno comunque significati diversi. Il Web 3.0 immagina una rete all’insegna di metadati sempre più precisi, in grado di specificare il contesto semantico di ogni singola pagina.
La volontà alla base del Web3 è quella di cambiare radicalmentel’attuale funzionamento della rete, sia per quanto riguarda la fruizione dei contenuti, sia per quanto riguarda i rapporti gerarchici che stanno alla base di Internet.
Ad oggi la struttura di Internet vede una netta distinzione tra client e server: due termini probabilmente sconosciuti, o per lo meno poco chiari, a chiunque non abbia competenze informatiche di un certo livello.
Il Web3 permetterebbe di cambiare il funzionamento di Internet, eliminando la differenza tra client e server.
Il client è il programma che mette un computer nella condizione di interagire attraverso la rete: è il caso, ad esempio, di certi browser. Il termine client spesso viene usato anche per indicare il dispositivo che ospita tali software. In altre parole, è il computer di un utente.
Il server invece è un computer che ospita servizi e risorse di rete. Si tratta di un dispositivo capace di memorizzare migliaia di informazioni relative alle pagine Internet. I server sono i gestori e i conservatori di dati sensibili e, da un certo punto di vista, hanno una posizione gerarchicamente superiore rispetto a quello dei client.
Il Web3 vuole cambiare radicalmente questa gerarchia in cui soltanto una parte detiene l’informazione. E proprio la blockchain permetterebbe di rivoluzionare completamente il criterio secondo cui vengono gestiti i dati.
La blockchain prevede che l’informazione venga archiviata in più copie e distribuita all’interno di una rete di computer peer-to-peer. Questo insieme di tecnologie potrebbe quindi slegarsi dal semplice ruolo di database delle criptovalute, per diventare la base su cui verrà costruita una nuova rete.
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2. Che cos’è la blockchain
Come già anticipato in precedenza, la parola blockchain fa riferimento a tante diverse tecnologie che hanno reso possibile la creazione di nuovi registri digitali. La traduzione italiana del termine blockchain è “catena di blocchi”.
Non a caso, i registri digitali della blockchain sono organizzati proprio in blocchi concatenati l’uno con l’altro. Ogni blocco contiene informazioni specifiche ed è collegato al precedente e al successivo.
La prima idea di blockchain è stata introdotta nel 2008 da un autore sconosciuto ancora oggi. Dietro lo pseudonimo Satoshi Nakamoto potrebbe nascondersi un uomo, una donna o addirittura un team composto da più persone.
La blockchain nacque con l’obiettivo di ospitare Bitcoin, una delle criptovalute più famose della storia, ideata sempre dallo stesso misterioso Nakamoto.
Da allora, la blockchain è rimasta legata in maniera quasi indissolubile alle criptovalute. Più precisamente, è stata utilizzata per creare database peer-to-peer in grado di contenere informazioni condivise e protette.
Una delle caratteristiche più importanti della blockchain è la sicurezza. In tal senso, si consideri che l’informazione contenuta nei blocchi dei registri è incancellabile e immodificabile.
Intervenire su un singolo blocco significherebbe danneggiare irrimediabilmente l’intera catena. Ciò vuol dire che, anche in caso di errore umano, non è possibile tornare indietro. Al massimo, si possono registrare nuove informazioni in un nuovo blocco, che andranno a rettificare o integrare quella precedente.
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3. Possibili applicazioni della blockchain
Ad oggi, la blockchain è utilizzata soprattutto come database per criptovalute come il celebre Bitcoin. Queste tecnologie permettono di creare registri delle transazioni sicuri e condivisi, che, grazie alla crittografia, risultano accessibili soltanto a un determinato numero di membri.
Detto questo, la blockchain si presta a tantissime altre applicazioni. Da una parte, si trovano tutti quei settori che potrebbero beneficiare di un sistema capace di verificare e proteggere le transazioni finanziarie.
In questo senso, la blockchain potrebbe venire sposata dal mondo delle banche, ma anche da quello delle realtà che operano nel settore dei pagamenti e in quello dei trasferimenti di denaro.
La catena di blocchi si basa anche su un sistema di verifica continua delle informazioni presenti. Ogni nuovo blocco rafforza e conferma l’informazione contenuta in quelli precedenti.
Questo presupposto aiuta a capire quanto potrebbe essere utile ricorrere alla blockchain per tutti quei sistemi che prevedono la registrazione o la circolazione di dati e informazioni sensibili.
La blockchain può essere utilizzata ogni qual volta ci si trovi di fronte al trasferimento di beni o informazioni digitali.
Il sistema potrebbe essere molto utile in ambito accademico e per il deposito di certificati, lauree e diplomi, ma anche per eventuali elezioni perché permetterebbe di conservare e legittimare voti provenienti da tutto il mondo.
E, ancora, si pensi alla pubblica amministrazione, alla sanità e a tutti quei settori che hanno sempre più bisogno di una circolazione di dati rapida e protetta. Non a caso, spesso si tende a semplificare la questione, asserendo che la blockchain potrebbe rivelarsi decisiva ogni qual volta sia necessario trasferire informazioni da un computer a un altro.
Infine, la blockchain porta con sé delle implicazioni che vanno ben oltre i suoi possibili utilizzi pratici. Parlare di registri condivisi, di catene di blocchi e di nuovi sistemi di verifica dei dati porta a considerare un tema ampio come quello della Defi.
L’acronimo Defi sta per “Decentralized Finance”, traducibile in italiano come “Finanza Decentralizzata” nata con l’obiettivo di creare un nuovo ecosistema finanziario, in cui i protocolli eliminino la necessità di gerarchie.
Oggi gli utenti, per effettuare transazioni, hanno quasi sempre bisogno di figure esterne, gerarchicamente superiori: è il caso delle banche, degli exchange, dei broker e così via. Grazie alla blockchain è teoricamente possibile creare delle nuove piattaforme indipendenti.
Spazi virtuali costituiti su software I2P liberi e open source, che verrebbero popolati da comunità di utenti totalmente autonomi e autoregolati. Nel caso delle transazioni finanziarie Defi, il potere del singolo utente deriva soltanto dalla quantità di criptovaluta in suo possesso.
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4. Applicazioni e protocolli del Web3
Si torna così al Web3: un altro “mondo” che punta a sfruttare la blockchain per istituire piattaforme libere e, al tempo stesso, sicure. La catena di blocchi è però soltanto uno dei protocolli che potrebbero permettere la creazione delle cosiddette “applicazioni decentralizzate”.
Le applicazioni decentralizzate sono quelle app che non vengono eseguite soltanto sul computer dell’utente o dell’azienda che le rilascia. Al contrario, vengono distribuite su una rete di computer peer-to-peer. Non hanno necessariamente bisogno della blockchain e sono già molto più famose e diffuse di quanto non si potrebbe immaginare. Si pensi a uTorrent.
La differenza tra le applicazioni decentralizzate di “vecchia generazione” e quelle del Web3 sta proprio nell’utilizzo delle catene di blocchi. Un valido esempio in tal senso è Ethereum: una delle criptovalute più apprezzate del momento.
Ethereum più che a una semplice valuta digitale, assomiglia a una rete crypto. Un universo complesso, che permette di comprare, vendere o scambiare token, ma anche di sviluppare tante altre operazioni: dalla registrazione di proprietà intellettuale alla firma di contratti intelligenti, passando per la creazione di campagne di crowdfunding.
Un aspetto fondamentale di Ethereum è che utilizza quasi interamente codice open source: codice aperto, ispezionabile da tutti gli utenti dotati di competenze e buona volontà.
Le applicazioni decentralizzate Web3 sono basate sulla blockchain, ma sfruttano tanti diversi protocolli.
Non a caso, quando si parla di Web3 e di applicazioni decentralizzate, spesso si finisce anche per parlare di I2P: un acronimo che rimanda al mondo dei software liberi, da utilizzare con l’obiettivo di realizzare una rete anonima.
D’altronde, fino a qualche tempo fa, proprio il software I2P veniva chiamato anche “Invisible Internet Project”, ovvero “Progetto di Internet Invisibile”. L’idea alla base, senza entrare troppo nei tecnicismi, era quella di permettere la circolazione di dati protetti grazie alla crittografia.
Le applicazioni del software I2P sono ovviamente molteplici: si va dalle applicazioni “tunnel” pensate per comunicare in maniera anonima, ai protocolli tipo Bittorent.
Per restare in tema protocolli, ne esistono diversi che potrebbero rendersi utili, se non addirittura necessari, alla creazione del Web3. Si immagini, ad esempio, di volere creare una applicazione tipo Facebook, però totalmente decentralizzata.
In questo caso si dovrebbero utilizzare soluzioni come Filecoin, Storj, Sia o IPFS, in maniera tale da creare un archivio di file distribuito. Dopodiché, si potrebbe ricorrere a un token in maniera tale da incentivare i diversi nodi della rete a condividere spazio di archiviazione.
In questo modo, si replicherebbe il funzionamento di molte criptovalute, che premiano con token proprietari gli utenti pronti a mettere a disposizione il proprio computer.
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5. Il Web3 è un sistema ricco di vantaggi
Volendo riassumere, e forse semplificare un po’, si può dire che i principali vantaggi delle applicazioni decentralizzate Web3 sono tre. Il primo è la decentralizzazione, il secondo è la sicurezza, mentre il terzo è l’anonimato.
La decentralizzazione prevede, da un punto di vista tecnico, la libertà di appoggio a server centrali. Ciò vuol dire che il funzionamento effettivo delle applicazioni decentralizzate Web3 non dipende da un singolo sistema.
Al contrario, la loro operatività è sempre distribuita su più nodi, grazie a una rete di computer peer-to-peer. Questo presupposto rende questo genere di applicazioni molto più performanti, oltre che molto più resilienti in caso di malfunzionamento o di attacco hacker esterno.
Si arriva così alla sicurezza, intesa non solo come capacità di resistere a bug, attacchi o censure. La blockchain protegge le informazioni contenute all’interno dei suoi registri digitali attraverso la crittografia.
La crittografia sfrutta diverse tecniche e tecnologie atte a occultare, ma anche a proteggere, beni e messaggi di varia natura. I dati tutelati dalla crittografia sono praticamente inaccessibili a chiunque non disponga delle corrette chiavi di accesso.
Arrivati a questo punto, occorre poi ribadire che le informazioni presenti nella blockchain non vengono trasferite su server o computer esterni. Al contrario, restano sempre e comunque nella disponibilità dei loro proprietari.
La crittografia tipica della blockchain però non si limita a garantire la sicurezza delle informazioni. Ha un ruolo decisivo anche nella definizione dell’anonimato di tutti gli utenti.
Va infatti considerato che le applicazioni decentralizzate Web3 non prevedono la classica accoppiata tra uno username e una password: un sistema che ha mostrato diverse falle nel corso degli anni.
Gli utenti delle cosiddette “dApp” vengono associati in maniera anonima a un wallet. Il wallet, a sua volta, è un’ulteriore applicazione che contiene l’indirizzo nella blockchain di un utente e le sue chiavi crittografiche.
Le chiavi crittografiche si distinguono tra chiave pubblica e chiave privata. La chiave pubblica è quella che permette di concludere le transazioni: è un codice alfanumerico che, da un certo punto di vista, assomiglia a quelli tipici dei conti correnti.
La chiave privata invece è quella che permette all’utente di entrare nella blockchain. Come ben suggerito dal nome, la chiave privata non dovrebbe mai venire condivisa con nessuno.
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6. Web3: quali sono i rischi da evitare
Fin qui si è visto come il Web3 e le dApp portino notevoli vantaggi per l’utente. Le tecnologie su cui si basano sfruttano infatti a pieno la decentralizzazione per garantire un livello di sicurezza e di anonimato quasi senza precedenti.
Allo stesso tempo però, è importante sottolineare come anche il Web3 presenti deifattori di rischio: elementi da tenere a mente soprattutto in questa fase di evoluzione costante del progetto.
Anzi, secondo alcuni utenti, un nuovo Internet interamente costruito su blockchain e reti peer-to-peer sarebbe molto pericoloso. Quindi, sono nate vere e proprie campagne di boicottaggio. Una delle più famose è “Keep the Web free, say no to Web3”, che può essere tradotta in italiano come “Mantieni la rete libera, dì no al Web3”.
Secondo questa scuola di pensiero, lo sviluppo di applicazioni interamente decentralizzate potrebbe provocare danni agli utenti ed esporli a un maggiore rischio di truffe.
Si pensi, in tal senso, all’idea di un social network Web3. Il rischio, sostengono alcuni, consiste nella creazione di un problema di asimmetria informativa dove l’utente finale avrebbe molte meno informazioni di quanto promesso.
Da questo punto di vista è impossibile non citare per lo meno l’opinione di Jack Dorsey, il celebre fondatore di Twitter, che, tra l’altro, è un fermo sostenitore delle criptovalute e della blockchain.
Ebbene, proprio Dorsey ha più volte detto che il Web3, così come viene presentato, rischia di diventare una nuova struttura centralizzata. Uno spazio in cui i detentori del potere e delle informazioni avranno semplicemente un nome differente.
Detto ciò, la sicurezza degli utenti e l’effettiva eliminazione delle gerarchie sono dei rischi tutto sommato relativi, condivisi soltanto da una parte della rete. Ad oggi, il maggior problema legato al Web3 e alle applicazioni decentralizzate è un altro.
Un nuovo Internet costruito sulla blockchain rischia di avere ripercussioni pesantissime sull’ambiente. Questo genere di tecnologie richiede una potenza di calcolo impressionante e, di conseguenza, un consumo di energia elettrica gigantesco.
Basti ricordare che il mining di una singola criptovaluta, in certi casi, richiede l’ausilio di intere centrali elettriche dedicate. Tale presupposto aiuta a immaginare quanta energia potrebbe servire per tenere in piedi un Web3 globale.
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Fonte Fastweb.it