Dell’idrogeno come fonte di energia pulita e rinnovabile praticamente infinita si parla ormai da decenni, ma dell'”economia all’idrogeno” teorizzata nell’omonimo saggio del 2002 dell’economista Jeremy Rifkin ancora c’è poco più che qualche speranza nonostante siano passai quasi vent’anni. Eppure, la gran parte degli scienziati è concorde nel ritenere l’idrogeno un tassello fondamentale per la decarbonizzazione della produzione di energia elettrica e, di conseguenza, anche dei trasporti.
Il problema, però, è che l’idrogeno non è una fonte di energia, ma un suo “vettore“. Esattamente come la benzina o il gasolio che non si trovano in natura pronto all’uso ma vanno prodotti partendo dal petrolio, anche l’idrogeno va estratto da qualcos’altro: l’acqua, che è formata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno (H2O) o gli idrocarburi, che come si intuisce dal nome stesso sono composti da idrogeno e carbonio.
L’estrazione dell’idrogeno dall’acqua o dagli idrocarburi richiede energia, quindi il rendimento complessivo di tutto il processo dall’estrazione all’uso dell’idrogeno, passando per la sua conservazione, ha ancora oggi una efficienza molto bassa.
Tuttavia, se ancora di speranza si deve parlare si tratta almeno di una buona speranza: lo si intuisce dalla lettura dei dati contenuti nel report Hydrogen Insights 2021, pubblicato a febbraio 2021 dall’Hydrogen Council, che riunisce i maggiori produttori e utilizzatori di idrogeno nel mondo. Prima di leggere i dati, però, serve ancora qualche chiarimento su come funziona l’economia all’idrogeno.
Idrogeno nero, grigio, blu, viola, verde
L’idrogeno è abbondantissimo in natura, ma mai allo stato puro: è sempre legato con qualche altro atomo in molecole più complesse che vanno scisse per separare l’idrogeno dal resto. Sebbene l’idrogeno in realtà sia completamente incolore, l’industria nel corso degli anni ha creato alcune definizioni per descrivere sinteticamente come viene estratto l’idrogeno. Esiste quindi un idrogeno nero, grigio, blu, viola e verde e il primo tipo è quello meno “green“, mentre l’ultimo è quello al quale si aspira maggiormente per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.
L’idrogeno nero è quello estratto dall’acqua, con la tecnica dell’elettrolisi (si applica energia elettrica all’acqua per dividere gli atomi di idrogeno da quelli di ossigeno) utilizzando elettricità prodotta da fonti fossili. Il nero è l’idrogeno meno ecocompatibile, perché per ottenerlo si inquina e si emettono grandi quantità di CO2.
L’idrogeno grigio è quello solitamente usato dall’industria in numerose reazioni chimiche. Solitamente si ottiene come sottoprodotto di altri processi chimici, o dagli idrocarburi (principalmente dal metano) tramite la tecnica dello “steam reforming“. Poiché si tratta di recuperare idrogeno da un processo già in atto, per quanto inquinante, è considerato meno impattante per l’ambiente rispetto al precedente.
L’idrogeno blu è una “sfumatura” di quello grigio: i processi per estrarlo sono gli stessi, ma l’anidride carbonica prodotta viene catturata e stoccata. Per questo è anche più costoso.
L’idrogeno viola è di nuovo prodotto da elettrolisi, ma questa volta l’energia elettrica proviene dalle centrali nucleari. Non ci sono emissioni di CO2 (se non consideriamo quelle necessarie ad estrarre e preparare i combustibili nuclerari), ma ci sono i rischi del nucleare.
L’idrogeno verde, infine, è quello a cui tutti aspirano: è prodotto dall’acqua con l’elettrolisi e l’energia usata è 100% rinnovabile, proveniente da parchi eolici, impianti idroelettrici o centrali fotovoltaiche. Purtroppo è anche l’idrogeno più costoso da estrarre.
Come si usa l’idrogeno
Gli usi principali dell’idrogeno sono due: la produzione di energia elettrica e l’autotrazione. In entrambi i casi si usa una “fuel cell“, cioè una cella a combustibile idrogeno all’interno della quale avviene la reazione inversa dell’elettrolisi: l’idrogeno si combina all’ossigeno producendo energia elettrica ed emettendo vapore acqueo come rifiuto.
Le grandi fuel cell possono essere usate nelle centrali elettriche, le piccole direttamente nelle auto o nei mezzi commerciali leggeri e pesanti a idrogeno dotati di serbatoi per contenere l’idrogeno. In entrambi i casi c’è un problema: l’idrogeno è difficile da stoccare. Allo stato gassoso va conservato a circa 700 bar di pressione, allo stato liquido ca conservato a -253 gradi centigradi. A questi problemi di stoccaggio, naturalmente, corrispondono altrettante difficoltà nella distribuzione dell’idrogeno.
Una buona idea sembra averla avuta SNAM Spa, l’azienda pubblica italiana che gestisce gran parte dei metanodotti del nostro Paese. SNAM ha infatti terminato un progetto pilota grazie a Contursi Terme, in provincia di Salerno, al quale ha dimostrato che è possibile trasportare l’idrogeno miscelandolo con il gas naturale, all’interno dei gasdotti esistenti.
Non serve quindi una nuova infrastruttura, serve solo miscelare l’idrogeno al 10% con il 90% di metano. Secondo SNAM circa il 70% delle tubature esistenti in Italia può trasportare questa miscela.
Economia all’idrogeno: i dati dell’Hydrogen Council
Dai dati di Hydrogen Insights 2021 emerge che l’interesse verso l’idrogeno è cresciuto notevolmente nel 2020, in tutto il mondo: oltre 30 Paesi si sono dotati di una strategia nazionale per l’idrogeno e ci sono 228 progetti in cantiere, sia relativi alla produzione dell’idrogeno che al suo utilizzo. Di questi 228 progetti ben 126 sono in Europa, 46 sono in Asia, 24 in Oceania e 19 in Nord America. Il 75% di questi progetti sono stati presentati nel solo 2020, con una netta accelerazione rispetto agli anni precedenti.
Di conseguenza le previsioni sulla produzione di idrogeno al 2030 sono più che raddoppiate, passando da 2,3 a 6,7 milioni di tonnellate annue. Gli investimenti programmati ammontano a circa 70 miliardi di dollari, globalmente. Giappone e Corea, con le rispettive case automobilistiche Toyota e Hyunday, sono tra i paesi che stanno investendo di più nel trasporto a idrogeno di massa: Toyota produce già dal 2015 la berlina a idrogeno Mirai, Huyndai produce dal 2018 il SUV a idrogeno Nexo.
Buone notizie anche dalle previsioni sul prezzo dell’idrogeno, in deciso calo: quando tutti i progetti in cantiere saranno ultimati produrre idrogeno verde da elettrolisi costerà molto di meno, grazie ad un contemporaneo calo del prezzo degli elettrolizzatori. Per questo il costo di produzione dell’idrogeno grigio rimarrà stabili intorno a 1,59 dollari al chilo, mentre quello dell’idrogeno verde scenderà dagli attuali 5,50 dollari a 1,50 dollari al chilo nel 2050. Ma nelle zone in cui abbondano le energie rinnovabili produrre idrogeno verde costerà meno di produrre idrogeno grigio già nel 2030.
Fonte Fastweb.it